8 Ottobre 2020
Avvenire

Basta surrogata, donne in pressing

di Marina Terragni


Ha preso avvio in Commissione Giustizia della Camera la discussione su due diverse proposte di legge (prime firmatarie rispettivamente Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e Mara Carfagna di Forza Italia) che chiedono in sostanza la stessa cosa: una modifica dell’art. 12 comma 6 della legge 40/2004 sulla fecondazione medicalmente assistita allo scopo di estendere la punibilità del ricorso a utero in affitto – già sanzionato se realizzato in Italia – anche ai casi in cui si realizzi all’estero: cioè sempre. 

Svariati gli italiani tra i “genitori intenzionali” di quei bambini scandalosamente stoccati in un albergo di Kiev in Ucraina, merce in attesa di ritiro causa lockdown: questione, quella dei neonati in deposito, ancora lontana da una soluzione. 

Ucraina, Canada e California (per i più abbienti) sono le mete principali dei committenti italiani. Che una volta rientrati in Italia con i bambini richiedono la trascrizione dell’atto di nascita formulato all’estero, in cui di norma sono qualificati come genitori. 

Una recente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite (12193/2019) chiarisce che solo il genitore biologico può essere trascritto: la verità sulle origini, diritto del nascituro, si configura anche come principio di ordine pubblico. Ma la battaglia si è riaperta: recentemente la prima sezione della Cassazione è tornata a interpellare la Corte Costituzionale riproponendo la trascrizione di “due padri”. 

Più che sul piano legislativo, la Rete Femminista Italiana contro l’Utero in affitto si è mossa negli anni con molte azioni di informazione e sensibilizzazione per un’abolizione universale della pratica. La riforma della legge 40 con estensione della punibilità del reato sarebbe un passo decisivo in questa direzione. 

Per questo la Rete, che tiene insieme importanti associazioni come Udi, Se Non Ora Quando Libere e RadFem Italia, si è rivolta ai componenti della Commissione Giustizia nonché ai presidenti di tutti i gruppi parlamentari sollecitando «la modifica della legge 40/2004 affinché le pene previste per chi ricorre all’utero in affitto in Italia vengano applicate anche quando il reato sia commesso all’estero». E appellandosi «a tutte le forze politiche perché trovino un accordo e trasversalmente contribuiscano alla formulazione di un testo unico che estenda la punibilità del reato sostenendolo in aula fino all’approvazione». 

La Rete ha inoltre richiesto di essere audita in Commissione. 

La formulazione dell’appello femminista ha comportato qualche fatica: buona parte dei gruppi che compongono la Rete è storicamente legata alle forze del centrosinistra e le proponenti in Commissione sono due eminenti rappresentanti della destra. D’altro canto ogni interlocuzione con la sinistra su questo tema non ha prodotto finora risultati sostanziali: all’assicurazione del segretario Pd Zingaretti che «il divieto non si tocca» corrisponde una robusta azione pro-Gpa della responsabile Diritti Monica Cirinnà. Poche le personalità di sinistra – come Stefano Fassina e l’area cattodem – che oppongono un no senza ambiguità all’utero in affitto. 

Anomalia tutta italiana e difficilmente spiegabile: in Spagna, in Svezia e in buona parte d’Europa le sinistre giudicano la Gpa una neo-schiavitù delle donne – la povertà femminile causata dalla crisi Covid rischia di aumentare la schiera delle “surrogate” oltre che delle prostituite – e una mercificazione dei bambini. 

La speranza è che il comunicato-appello della Rete Femminista contribuisca a risvegliare le coscienze in modo bipartisan.


(Avvenire, 8 ottobre 2020)

Print Friendly, PDF & Email