di Annarosa Buttarelli
Il tempo è arrivato. Si potrebbe iniziare in questo modo per invitare a una presa di coscienza della inarrestabile presenza di donne sui diversi scenari della crisi globale. Vediamo sugli schermi e nelle piazze donne con una forte passione politica e un senso di responsabilità verso le sorti del mondo, tanto da rischiare, come è già capitato troppe volte nella storia, prevedibili contraccolpi repressivi e perfino l’aggressione ai propri corpi e alle proprie menti, entrambi generativi di vita, a differenza di quelli della gran parte dei maschi, troppo spessi auto-sacrificati all’agire mortale e mortifero. Se si guarda realisticamente a quanto sta accadendo, si può vedere che è in corso un’avanzata del percorso rivoluzionario delle donne, tanto da attribuire (finalmente!) a questa avanzata il nome di “egemonia”, come ha rilevato recentemente Cristina Comencini. Si evidenzia, infatti, una qualità femminile ignorata nelle false narrazioni storiche, e sempre più disattesa nel mondo degli uomini perennemente belligeranti: il coraggio. Se ci si pensa, appare perfino comica la continua attribuzione di “coraggio” all’agire storico maschile, compreso quello eroico, Né l’eroismo, né la guerra, né la dissidenza suicida sono le vie seguite dalle donne nella storia, cercando – lo intuisco empaticamente – di testimoniare “come si fa” a salvare la propria vita e quella degli altri nel momento in cui si deve smettere di “dare a Cesare quel che è di Cesare”, e impegnarsi invece a “dare” alla sovranità del coraggio l’agire per la trasformazione.
Le iraniane stanno cercando di trascinare uomini e donne nella rivoluzione finalmente scoppiata, grazie a loro. Hanno tentato la stessa cosa le afghane, nel momento vergognosa della ritirata statunitense dal loro paese. Lo hanno fatto e lo stanno facendo le russe, lo hanno fatto le molte americane del “metoo”, lo fanno le curde inascoltate, lo hanno fatto le creatrici delle primavere arabe; lo ha fatto anche Angela Merkel, a suo modo, qualche giorno fa, pronunciando una formula stupefacente che racchiudeva la sua proposta per risolvere la guerra sul territorio ucraino: «Bisogna pensare l’impensabile». Leggendo questa traduzione comparsa in un articolo di Barbara Spinelli, ho
fatto un salto sulla sedia: oltre ad essere una formula sapienziale perfetta, è anche una formula fondamentale in psicoanalisi, adottata da una geniale psicoanalista inglese, Nina Coltart (1927-1997). La riproposta di questa formula da parte di Angela Merkel è un invito a immaginare al di fuori dell’ovvio, del “razionale”, del “politicamente corretto” storicamente determinato, del cinismo della ragion di Stato. Grazie al coraggio e alla determinazione mostrata dalle donne nel campo politico contemporaneo, vengono a cadere l’idea della “rendita della vittima” che ha accompagnato il femminismo esclusivamente rivendicativo, la necessità di chiedere la moltiplicazione dei posti di potere alle donne per raggiungere la parità, e la pratica della “stampella” che si dovrebbe fornire per sostenere le decrepite istituzioni patriarcali. Il movimento femminista rivoluzionario è oltre, presenta un di più di autorevolezza, ed è per questo che è egemone. La differenza delle donne può anche dare un’indicazione sempre più preziosa per conservare la vita della mente: bisogna uscire dall’irrealtà delle ragioni razionali (sic!) che portano a far scorrere sangue innocente in ogni conflitto tra eserciti e tra persone. C’è la realtà impensata là fuori, e aspetta di incontrare il coraggio e la nostra sapienza.
(Lo Specchio-La Stampa, 23 ottobre 2022)