di Alberto Leiss
Il femminicidio di Martina Carbonaro ha riaperto una discussione sul patriarcato e su come i più giovani vivono i rapporti tra i sessi. Qualche sera fa a una domanda di Lilli Gruber a “Otto e mezzo” Massimo Cacciari ha risposto tornando sull’argomento affermando, più o meno letteralmente, questi concetti: L’uccisione di quella ragazza non è un fatto di «cronaca nera», ma il «sintomo» di una «trasformazione culturale in senso antropologico, che dura almeno da un secolo» e che investe il mutamento dei rapporti tra i sessi.
I soggetti più deboli – coloro che con la parola e il ragionamento non riescono ad accettare questi cambiamenti – si oppongono con riflessi violenti (e questo è il caso, ormai tipico, del maschio che non accetta di essere lasciato).
Reagire a queste realtà con l’aggravamento delle pene è una «cosa ridicola».
Bisogna poi vedere che il mondo adulto, «noi grandi», sta promuovendo la diffusione quotidiana di un linguaggio di violenza, il «crollo di ogni forma di diritto internazionale», con il «diritto del più forte» che vince dappertutto: «seminiamo tempeste…».
E se le sue interlocutrici – Lilli Gruber, Annalisa Cuzzocrea della Stampa, e l’avvocata Cathy La Torre, con Beppe Severgnini del Corriere della sera – insistevano sulla necessità di un impegno della scuola per l’«educazione sentimentale» e «sessuale» degli adolescenti, il filosofo-politico interrompeva ricordando da un lato che «l’unica grande rivoluzione che stiamo vivendo negli ultimi cinquanta anni è stato il pensiero femminista…», che l’epoca patriarcale è finita e «non risorgerà mai più», dall’altro che l’educazione deve allora servire a «interiorizzare, assimilare queste trasformazioni» quindi sapere «attrezzare i giovani a affrontare questi salti d’epoca».
E a questo dovrebbe rivolgersi «la buona politica». Prevalgono invece i leader alla Trump, prototipo del maschilismo, predicatore della forza e del possesso…
Chi volesse ascoltare tutto lo scambio può facilmente trovare in rete la puntata di “Otto e mezzo”, su La7, del 28 maggio scorso. Io mi fermo qui, al punto della “buona politica”. Espressione ripetuta da Cacciari ma rimasta – forse inevitabilmente nella logica discorsiva di un talk-show (per quanto vivacemente “invasa” e forzata dal filosofo ormai spesso presente in tv) – un po’ appesa all’ignoto.
Chi potrebbe praticare, o chi già pratica, questa “buona politica”? Quali ne dovrebbero essere i presupposti? I fondamenti etici e teorici? Gli ideali, i programmi, le pratiche democratiche? Tutto il discorso del “talk” tendeva a criticare, con buone ragioni, la politica dell’attuale governo, e i populismi e autoritarismi destrorsi (per non dir di peggio).
Ma la sinistra, le sinistre, non hanno nulla da rimproverarsi? Sono abbastanza d’accordo – per quel che vale – con alcune delle tesi cacciariane. Se è vero che il tramonto del patriarcato – come «ordine simbolico» durato millenni – dura da un secolo, com’è che non ne ho quasi mai sentito parlare nel vecchio Pci (nemmeno dal dottissimo filosofo ed ex sindaco di Venezia)?
C’erano stati alcuni tentativi di “contaminare” il vecchio partito comunista con il pensiero femminista (l’esperienza della “Carta delle donne comuniste”, a metà anni ’80, poi chiusasi con la “svolta” che pose fine a quel partito).
Ci sarebbe da ripensare tutto un pezzo di storia, e affrontare la discussione odierna su sessi e generi, sulla violenza e la guerra, molti temi divisivi anche nella galassia femminista. Ma qualche parola e pensiero non solo televisivo e socialmediatico dovrebbe finalmente venire dal mondo maschile. Specialmente quello che si considera “progressista” e di sinistra.
(il manifesto – In una parola, rubrica settimanale su linguaggio e società. A cura di Alberto Leiss, 3 giugno 2025)