di Alberto Leiss
Il significato della parola catastrofe è ben noto nel paese dei terremoti, e nei tempi che hanno visto due guerre mondiali, la fine di alcuni grandi imperi, il crollo delle Twin Towers e molti altri eventi che parlano di un male senza rimedio. Il termine viene dal greco katá (giù, in basso) e stropheo (volgere): un rivolgimento che è un vero capovolgimento.
Catastrofe però è anche il momento risolutivo (certo in genere radicalmente negativo) della tragedia greca. La scienza moderna ha ragionato – per quel poco che ne capisco – sulla «normalità» degli eventi catastrofici e sulla leggibilità di elementi di autorganizzazione nei sistemi instabili quando perdono il loro equilibrio precario e devono assestarsi in un contesto nuovo.
La parola mi è venuta in mente osservando gli effetti di propagazione tellurica globale dello scandalo Weinstein. Dopo gli anni di Clinton-Lewinsky, del nostro Berlusconi, del caso Strauss-Kahn, delle discussioni sul vetero-machismo di Trump, ognuno con le proprie specificità su cui non indugio, la vicenda del grande produttore cinematografico democratico e molestatore – se non peggio – seriale sembra aver colmato la misura. Segnato quello spostamento sistemico che trasforma un equilibrio precario in catastrofe. Ora, l’equilibrio maschile è stato reso sempre più instabile da quando, alcuni decenni fa, le donne hanno deciso di rompere con il sostegno al patriarcato, hanno inventato il femminismo, il separatismo, si sono prese la loro libertà. Ma finora ai picchi della «crisi maschile» nel senso comune e nelle storie personali è sempre seguito un qualche fenomeno di «riassestamento».
In fondo il mondo va più o meno così da sempre, le donne qualche diritto l’hanno conquistato, anzi forse ora se ne approfittano!… E le «nuove» sensibilità maschili fanno presto a scolorare in comportamenti eternamente narcisistici e vittimistici. Oltre che in un sempre più grottesco, quando non tragicamente violento, attaccamento al potere.
Non credo però sia sufficiente recitare – cosa che avviene con numerose voci maschili – un pur doveroso «mea culpa». O chiudersi in una sorta di rassegnato mutismo abulico (con la consolazione di fare, forse, meno danni?)
Ho letto che si deve all’autore del «Signore degli anelli», Tolkien, l’invenzione del neologismo eucatastrofe: quel prefisso che significa «bene» si augura che il capovolgimento traumatico abbia effetti positivi. Di questa possibilità credo di avere una esperienza personale, maturata in decenni di scambi con uomini che si interrogano sul senso del proprio desiderio e sulla relazione con altre e altri, senza pretendere di indicare modelli o di rappresentare qualche diversità encomiabile, ma un’altra ricerca di libertà.
Una cosa buona mi é sembrato il «manifesto» reso pubblico da donne e uomini della sinistra «insoumise» di Mélenchon (su Le Monde del 26 ottobre). Vi si afferma che la presa di parola coraggiosa, pubblica e «di massa» delle donne contro molestie e violenze originate dalla sessualità maschile – al di là di ogni ammiccamento su tempi e modi di questa presa di parola – è un fatto «eccezionale» che non può restare senza conseguenze per una società che, a parole, si richiama ai valori dell’uguaglianza e della libertà. Si chiedono anche politiche efficaci di prevenzione, denunciando che l’austerità alla Macron non lascia troppa scelta nei bilanci pubblici.
Ma mi è piaciuta soprattutto la qualità del linguaggio: un discorso fatto da donne e uomini, che della questione vede tutta la rilevanza immediatamente politica. Nelle nostre relazioni personali, e nel l’agire pubblico che in tanti modi diversi perseguiamo.
Chissà se la sinistra nostrana se ne accorgerà, o se deve prima rileggersi la saga del malefico anello del potere.
(il manifesto, 31 ottobre 2017)