3 Marzo 2022
Domani

Censura degli artisti russi. L’irragionevole foga delle sanzioni morali

di Mattia Ferraresi


Vladimir Putin è felice di vederci diventare un po’ come lui. Autoritari, paranoici, allergici al dissenso, impermeabili ai pensieri complessi, incapaci di fare distinzioni che fino a qualche giorno fa sembravano elementari. Ad esempio quella fra arte e politica, oppure fra popolo e governo, dove il primo non è mai del tutto responsabile delle azioni del secondo, specialmente quando il governo impone la sua legittimità con la repressione violenta e altri metodi coercitivi. Capita talvolta che la prima vittima di un governo sia il suo stesso popolo. Perse queste distinzioni, vale un po’ tutto. Anche annullare le lezioni di Paolo Novi su Dostoevskij, come ha fatto il prorettore alla didattica, in accordo con la rettrice dell’università Bicocca, con una motivazione da scudo e spada della pavidità: “Lo scopo è evitare qualsiasi forma di polemica, soprattutto interna, in questo momento di forte tensione”. Su quel “soprattutto interna” si potrebbe molto lambiccare, deducendo tutto il potere di ricatto del personale amministrativo che sta già strangolando da decenni le università americane, ma non importa, perché la rettrice, Giovanna Iannantuoni, poi ha cambiato idea, spiegando che è stato tutto un malinteso. Ha invitato Nori per un incontro chiarificatore e ha detto che il corso si farà, una riparazione goffa che ricorda un po’ gli articoli che il Cremlino in queste settimane ha “per sbaglio” disseminato in giro sul trionfo immediato nella guerra-lampo in Ucraina, che sono stati subito cancellati ma rimanendo impressi negli archivi digitali. Il caso di Nori ha fatto scalpore anche perché Dostoevskij è stato condannato a morte per essersi opposto al potere del suo tempo, quindi anche alcuni schivatori professionali della polemica soprattutto interna sono stati costretti a un ripensamento (non tutti, se è vero che qualcuno ha chiesto al sindaco di Firenze di abbattere la statua del romanziere nella città). Ma ormai la capacità di fare distinzioni sensate era stata già compromessa dalla foga di ripulire qualsiasi cosa dalle influenze russe, un impeto sanzionatorio che ha colpito fotografi a cui hanno cancellato le mostre, musicisti licenziati o tenuti lontano dai palchi, il padiglione russo della Biennale che rimarrà chiuso e altre sanzioni morali che fanno male agli studenti, agli amanti delle arti, alle coscienze, alla libertà, alla ragione, allo spirito critico e a tutto quello che un tempo si chiamava occidente ma non a Putin. La cacciata indiscriminata di tutti i testimoni russi, non importa se dissenzienti o no rispetto all’invasione, oppure morti qualche secolo fa, è il più putiniano degli esiti, piace a chi vive di sindromi di accerchiamento e taglia con l’accetta il confine tra “noi” e “loro”. Piace a chi crede che il governo e il popolo coincidano perfettamente, che la società civile non sia capace di esprimere pensieri propri indipendenti, che le persone dirigano un’orchestra o dipingano un quadro su mandato politico. Eravamo largamente capaci fino a pochi giorni fa di esercitare questa capacità di dare giudizi distinti e contemplare faccende complesse, evitando l’indebita equazione russo uguale fiancheggiatore, ma Putin evidentemente sta invadendo anche la ragione, offuscando negli avversari proprio quei criteri che fanno dire che lui è un autocrate barbaro e senza scrupoli, ma non per questo lo sono anche il popolo russo o i suoi artisti e scrittori. Putin sarà certamente lieto di aver contribuito a restringere il perimetro della ragione dei suoi avversari.


(Censura degli artisti russi. Putin è felice di vederci diventare un po’ come lui, Domani, 3 marzo 2022)

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