31 Maggio 2019
Leggendaria

Come combattere la violenza della prostituzione

Intervista di Luciana Tavernini a Ilaria Baldini


Ilaria Baldini propone un pensiero limpido, frutto di riflessioni meditate e condivise con altre, un discorso empatico e allo stesso tempo appassionato, convincente perché non pretende di imporsi.

L’ho conosciuta un anno fa in occasione dell’incontro sulla prostituzione alla Libreria delle donne di Milano e poi a maggio come interprete di Rachel Moran autrice di Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione1. Nel suo attivismo politico è una donna intera che parla a partire da sé, capace di mettersi in gioco senza delegare né fare la delegata. Ho voluto intervistarla perché è un esempio di protagonismo femminile relazionale.

Fai parte del gruppo Resistenza Femminista. Com’è nato e che cosa si propone?

Il gruppo è nato da incontri in rete. Commentavamo su diversi blog, come quello di Lorella Zanardo, e scoprivamo molte affinità, soprattutto rispetto alla diffusione di posizioni neoliberiste che ci sembravano una falsificazione e una perdita di libertà per le donne. Una di noi ha avuto l’idea di formare un gruppo segreto di discussione. Poi ci siamo incontrate di persona e ci siamo scambiate le nostre storie, insomma ci siamo fidate. Nelle nostre storie emergevano esperienze di violenza maschile, di ricatto sessuale e, per alcune, di prostituzione e pornografia. Partire da sé e dall’autocoscienza è stato l’avvio ed è tuttora quello che ci lega e ci permette di lavorare bene: la non colpevolizzazione delle donne è centrale per la nostra pratica politica, sia tra noi sia nel lavoro che diffondiamo. Quando abbiamo sentito la necessità e la forza di rivolgerci all’esterno è nata Resistenza Femminista: abbiamo creatoun sito per diffondere informazioni sulla prostituzione, a partire dalla voce delle sopravvissute che in altri paesi stavano prendendo parola, e ci siamo impegnate per resistere all’attacco alla legge Merlin e alle proposte di regolamentazione della prostituzione. Il motivo degli attacchi è semplice: occorre eliminare la barriera della legge per avviare lo sfruttamento legale del mercato del sesso, ma io preferisco chiamarlo per quello che è: il mercato dell’abuso.

Quasi contemporaneamente al tuo impegno in Resistenza Femminista hai cominciato a lavorare come volontaria presso la Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano. Come ti ha cambiato quest’esperienza?

Mi ha dato una forza enorme. È stato come se tutto si chiarisse in una spirale positiva di comprensione del meccanismo e delle origini della violenza maschile contro le donne. Nei centri le donne trovano luoghi sicuri in cui la possono raccontare perché sanno che saranno credute e non giudicate. Ho sperimentato la potenza dello scambio di fiducia e di forza tra donne, per cui, quando parlo di violenza, so come concretamente si manifesta e se ne viene rese oggetto e come insieme ad altre se ne esce, si riprende in mano la vita e si riesce a usare la propria forza non più per sopravvivere ma per tornare a vivere.

Ho compreso alcune caratteristiche della violenza, occultate dai pregiudizi che vedono le donne che la subiscono come deboli. La violenza si scatena non di fronte alla debolezza, ma alla forza, quando una donna rifiuta di lasciarsi cancellare. Ho visto il meccanismo perverso della vergogna perciò che si subisce e in cui si viene intrappolate. C’è strategia (oltre a paura) nella sopravvivenza, che viene scambiata per connivenza o debolezza: non si esce perché le vie di uscita non ci sono, e uno degli ostacoli sono proprio i pregiudizi, l’incapacità di ascoltare, credere, riconoscere la violenza, i suoi segni ed effetti.

Judith Herman, psichiatra all’ospedale di Cambridge (USA), nel libro Guarire dal trauma definisce la violenza come il desiderio di controllo totale su un’altra persona, cosa che costituisce il comune denominatore di ogni tirannide. Le testimonianze delle donne conosciute al centro mi fanno sentire la verità profonda di questa definizione, come anche quella del collegamento tra violenza personale e politica. Per la violenza domestica e lo stupro il lavoro delle donne ha portato al loro riconoscimento e alla creazione di vie di uscita. Per la prostituzione invece resta molto da fare. La violenza della prostituzione è fondativa per il patriarcato e, non a caso, è quella che si fa più fatica a far riconoscere e affrontare.

Quali elementi accomunano il tuo impegno con le donne maltrattate e le sopravvissute alla prostituzione?

È lo stesso impegno. È difficile far comprendere come la prostituzione costituisca il nucleo strutturale di ogni violenza contro le donne e che, senza riconoscerla come tale ed eliminarla, si rischia di lavorare in superficie. La politica prevalente sulla prostituzione è quella della riduzione del danno, ma cosa significa ridurre il danno quando si parla di violenza? Inoltre la prostituzione fa spesso parte dell’esperienza delle donne maltrattate. Costituisce in molti casi una conseguenza di abusi o incuria in famiglia, può costituire lo sbocco in una situazione di povertà e di perdita della casa. Vi si può essere indotte o obbligate da un partner, e la lista non finisce qui. L’essenza della prostituzione è l’umiliazione, il controllo. Chi paga, paga per avere il controllo e l’accesso sessuale a un corpo. Lo scambio di denaro fa sentire la vittima complice del proprio abuso e rende più profonda la vergogna e invisibile e indicibile la violenza, che non sta soltanto nella struttura dell’interazione ma spesso è fisica e verbale. Nel sito Prostitution Research si possono trovare molti dati in proposito. Le conseguenze traumatiche sono pesanti e documentate ma se ne parla poco: incidenza altissima di disturbo da stress post traumatico, depressione, disturbi della personalità, dissociazione, ansia, abuso di alcol e droghe per sopravvivere sono solo alcune di una lunga lista. Lascio a Judith Herman le parole che sono state più determinanti nel convincermi a continuare la lotta per fare emergere la violenza della prostituzione.

«Lo stupro è comune tra i giovani che fanno parte di squadre sportive o di confraternite. In questi gruppi lo scambio di donne o la visita in gruppo a un bordello è spesso un mezzo attraverso il quale si affermano il legame e la solidarietà tra uomini. L’esibizione rituale del potere di ottenere sesso dalle donne è anche una pratica comune in molte compagnie e aziende, in ambito politico e chiaramente negli eserciti. Possiamo pensare, allora, che l’industria della prostituzione che opera, possiamo dire, in tutte le società, potrebbe costituire il vettore principale di una socializzazione nelle pratiche di controllo coercitivo e che il prostitutore potrebbe essere la figura più comune al mondo di istruttore nell’arte della tortura (“Hidden in Plain Sight: Clinical Observations on Prostitution”, p.2, trad. di Baldini).»

L’attenzione e il giudizio vanno spostati sull’istituzione e sui prostitutori. È lì che non guardiamo. Mentre il discorso si sposta sulle donne, il contesto e i responsabili della violenza spariscono dal quadro prima ancora di essere intravisti. Il mantra è “ma alcune scelgono”, come se questo giustificasse la nostra cecità. Per le donne vanno aperte vie di uscita, ma non si può parlare di uscire da una violenza che nemmeno si vuole riconoscere e che anzi si vorrebbe normare e dunque normalizzare.

Quali sono le pratiche politiche che hanno prodotto maggiori cambiamenti?

Innanzi tutto dare voce, prendere voce. Tradurre la voce delle sopravvissute e farla arrivare in Italia, dove, come abbiamo visto con il #metoo, è più difficile parlare pubblicamente della violenza subita. Le accuse di mentire, inventare, esagerare arrivano dovunque, ma da noi sono diffuse, prevalenti direi, e dunque scoraggiano. Occorre un cambiamento culturale profondo. Non c’è un modo semplice per arrivarci, però prendere voce resta per me il metodo non violento più efficace. Libri come quello di Moran sulla sua esperienza o Il mito Pretty Woman della giornalista Julie Bindel, che ha raccolto per due anni in vari paesi del mondo oltre 250 interviste a persone legate alla prostituzione, smascherano le attività delle lobby pro-prostituzione per permettere lo sviluppo dell’industria del sesso senza ostacoli a partire da una trasformazione del linguaggio. Un modo di nornalizzare la violenza della prostituzione con l’uso di parole neutre come sex worker e sex work o con la trasformazione di senso di parole femministe come libertà di sceltà delle donne o decriminalizzazione non della prostituita, come già avviene con la legge Merlin, ma degli sfruttatori che diventano imprenditori.

L’altra pratica è la relazione. Grazie alla relazione le donne hanno preso voce. Carol Gilligan ne chiarisce il significato politico. Il patriarcato funziona stabilendo gerarchie rese possibili dalla disumanizzazione dell’altra o dell’altro, e la disumanizzazione avviene grazie alla distruzione non solo della relazione, ma della speranza e capacità di ricostruirla. Da questo punto di vista la prostituzione è un nodo centrale perché la sua essenza è proprio la negazione della relazione. Le donne in prostituzione si dissociano per resistere, esattamente come le vittime di stupro, dunque anche la relazione con se stesse viene annullata. E non sono solo le sopravvissute a dirlo. Altre non lo possono dire pubblicamente, per via dello stigma, ma lo dicono dove e come possono, ad esempio nei colloqui ai Centri. La relazione è la via di uscita anche dal patriarcato perché ne distrugge il fondamento di alienazione e disumanizzazione.

Che cos’è e cosa ti/vi ha convinto a richiedere l’introduzione del modello nordico o neoabolizionista tramite legge?

È quello che chiede il movimento internazionale delle sopravvissute, a partire dall’esperienza diretta della violenza nel mercato del sesso. Il modello neoabolizionista prevede che non ci sia alcuna criminalizzazione delle persone prostituite, perché sarebbe assurdo punire le persone per l’abuso che subiscono. Vengono invece create vie di uscita reali (luoghi di ascolto e accoglienza, sostegno psicologico, cure, formazione, istruzione, lavoro) e viene punito chi compra l’accesso al corpo di un’altra persona. C’è molta confusione sul significato di questo modello e del termine abolizionista: non significa proibizionismo, a meno che non vogliamo parlare di proibizionismo anche di fronte al riconoscimento e alla punizione dei responsabili della violenza domestica e dello stupro. Attraverso le nostre ricerche e attività abbiamo accumulato prove e materiale che ci confermano come sia una legge che affronta la violenza in modo femminista, per riconoscerla e fermarla, portando a un cambiamento culturale profondo nelle relazioni tra uomini e donne.


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– Julie Bindel, Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione, VandAepublishing, Milano 2019, 283 pagine, 15,00 euro e-book 9,99

– Carol Gilligan, La virtù della resistenza. Resistere, prendersi cura, non cedere, Moretti&Vitali, Bergamo 2014, 167 pagine, 16,00 euro

– Carol Gilligan e Naomi Snider, Why Does Patriarchy Persist? Polity Press, Cambridge-Medford 2018, 16,90 $ 12,99 £ e-book 9,99

– Judith Herman, Guarire dal trauma. Affrontare le conseguenze della violenza, dall’abuso domestico al terrorismo, Magi, Roma 2005, VIII-358 pagine, 28,00 euro

– Judith Herman, Hidden in Plain Sight: Clinical Observations on Prostitution, introduzione a Prostitution, Trafficking and Traumatic Stress, a cura di Melissa Farley, Routledge New York and London 2010, 384 pagine, 40,99 £ 50,15 $ e-book 21,67 $ pp.1-13

– Rachel Moran, Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione, ed. Round Robin, Roma 2017, 378 pagine, 16,00 euro e-book 2,99 euro

– Prostitution Research: www.prostitutionresearch.com

– Lorella Zanardo: www.ilcorpodelledonne.net

– Resistenza Femminista: www.resistenzafemminista.it


1 Rachel Moran nel libro Stupro a pagamento, ripercorrendo la sua esperienza, compresa quella in cui per 7 anni è stata spinta a prostituirsi e poi è riuscita ad uscirne, ne offre, col metodo femminista del partire da sé, un’analisi lucida e appassionata che fa emergere e nomina ciò che accade nell’industria della prostituzione, trasformando anche il linguaggio e partecipando al movimento politico internazionale delle sopravvissute. I due incontri sono stati: Sulla prostituzione, 10 marzo 2018 con Silvia Niccolai, Grazia Villa e Luciana Tavernini (il video: http://www.libreriadelledonne.it/sulla-prostituzione-2/); Nominare la prostituzione, 20 maggio 2018 con Rachel Moran, Silvia Baratella e Chiara Calori.


(Leggendaria n.134, marzo 2019, pp. 18-19)

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