16 Aprile 2021
Gazzetta di Modena

Covid, Michela Murgia e la retorica della guerra

di Franca Fortunato


Sin dall’inizio della pandemia si è scelto il linguaggio bellico come metafora per narrare il contrasto alla diffusione del virus. I medici sono “in trincea” che “combattono a mani nude” una guerra contro un “nemico invisibile”, si è detto. A furia di ripetere che siamo in “guerra” è diventato senso comune, per cui ai più è sembrata “normale” la scelta di Draghi di nominare a commissario straordinario alla vaccinazione un militare, che usa il linguaggio di guerra per mestiere. È così lo ha arricchito con altre metafore: “daremo fuoco a tutte le polveri”, “spezzeremo le reni al nemico”. Nella trasmissione “di Martedì” di Floris la scrittrice Michela Murgia si è dissociata da questa narrazione “perché sottintende che il genere umano stia dichiarando guerra a un elemento di natura, cioè al sistema interagente di cui noi stessi facciamo parte”. È come se il virus non appartenesse al mondo che abitiamo, come se fosse venuto da fuori per aggredirci e noi ne fossimo le vittime, quando, invece, sin dall’inizio, la virologa Ilaria Capua ci ha spiegato che il virus «è circolato per decenni, forse centinaia di anni in una foresta, rimbalzando di pipistrello in pipistrello e, perché no, di pipistrello in pangolino o in altre specie animali della medesima foresta. Stava in sostanza svolgendo il proprio compito sul pianeta (sopravvivere) senza dare fastidio a nessuno, finché non l’abbiamo prelevato dalla foresta e letteralmente iniettato in tutto il mondo con delle siringone giganti: gli aerei. I virus vengono tutti da animali e sono incapaci di vivere in autonomia, hanno bisogno di qualcuno che li ospiti nel proprio corpo». L’emergere di virus sconosciuti, come il Covid 19, ha a che fare con il riscaldamento globale, la perdita di biodiversità e la de-forestazione che costringe «gli animali a vivere in spazi sempre più stretti, i virus si trasferiscono da uno all’altro e saltano da una specie all’altra». Quindi ha ragione Murgia a dire che non «siamo vittime innocenti, poveri ignari che siamo stati attaccati da una specie nemica» e che la narrazione del “nemico a cui spezzeremo le reni” è falsa perché ci fa pensare che, “vinto il nemico”, torneremo alla “normalità” di quel “prima”, causa della pandemia. «Il virus non è un nemico ma un organismo con cui dovremo convivere» perché anche con il vaccino continuerà a circolare e se questo, come sta accadendo a causa di una guerra questa volta vera e non metaforica tra le multinazionali del farmaco, – c’è chi si permette anche di alzare il prezzo – non arriverà a tutta la popolazione del pianeta, gratuitamente ai Paesi poveri, il virus potrà arrivare a circolare in una forma resistente al vaccino. Abbandonare la retorica della guerra vuol dire aprirsi alla consapevolezza del cambiamento dei “nostri comportamenti” e del sistema economico neoliberista in cui siamo immerse/i. Vuol dire riconoscere che la salute di ogni essere umano non è indipendente da quella di tutti gli altri esseri viventi e della stessa terra. Non serve la retorica della guerra, non serve un colonnello per imparare l’essenziale da questa pandemia. Michela Murgia, per aver espresso il suo disaccordo sulla scelta di un militare che dà corpo e divisa a questa falsa narrazione della “guerra”, è stata aggredita sui social e accusata da Salvini, Meloni, Calenda e Pucciarelli, sottosegretaria leghista alla difesa, di aver “offeso italiani e militari”. Stai zitta! Sei una scrittrice? Allora scrivi libri e non parlare d’altro. È questo il messaggio sottinteso che lei ha rimandato al mittente già nel suo ultimo libro Stai zitta – e altre nove frasi che non vogliamo sentire più.


(Il Quotidiano del Sud, 16 aprile 2021)

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