26 Marzo 2022
Il Riformista

“Dare armi è follia. Zelensky? Gaffe terribile sulla Shoah”: intervista a Edith Bruck, scrittrice superstite di Auschwitz

di Umberto De Giovannangeli


Cosa si può dire che non sia già stato detto o scritto di una giovane signora novantenne, il cui vissuto riempirebbe due vite. Giovane, Edith Bruck lo è nella testa e nel cuore, in una straordinaria capacità narrativa che fa pensare ed emozionare. Di origine ungherese, Edit Bruck è nata in una povera, numerosa famiglia ebrea. Nel 1944, poco più che bambina, il suo primo viaggio la porta nel ghetto del capoluogo e di lì ad Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen. Sopravvissuta alla deportazione, dopo anni di pellegrinaggio, approda definitivamente in Italia, adottandone la lingua. Nel 1962 pubblica il volume di racconti Andremo in città, da cui il marito Nelo Risi trae l’omonimo film. Nelle sue opere ha reso testimonianza dell’evento nero del XX secolo. Ha ricevuto diversi premi letterari ed è stata tradotta in più lingue.

Tra le sue opere pubblicate in Italia ricordiamo: Chi ti ama così (Marsilio 1994), L’amore offeso (Marsilio 2002), Lettera da Francoforte (Mondadori 2004), Specchi (Storia e Letteratura 2005), Andremo in città (L’Ancora del Mediterraneo 2006), Quanta stella c’è nel cielo (Garzanti 2009), Privato (Garzanti 2010), Mio splendido disastro (Lampi di Stampa 2011), La donna dal cappotto verde (Garzanti 2012), Il sogno rapito (Garzanti 2014), Signora Auschwitz. Il dono della parola (Marsilio 2014), Chi ti ama così (Marsilio 2015), La rondine sul termosifone (La Nave di Teseo, 2017), Versi vissuti. Poesie (1975-1990) (eum, 2018), Ti lascio dormire (La Nave di Teseo, 2019), Il pane perduto (La Nave di Teseo, 2021), Tempi (La Nave di Teseo, 2021) e Lettera alla madre (La Nave di Teseo, 2022). Una confessione personale. Nel trascrivere le sue parole, per una volta mi sono sentito un privilegiato.

Il mondo assiste sgomento alla guerra in Ucraina. Chi sia l’aggredito e chi l’aggressore è fuori discussione. Ma le chiedo: esiste una “guerra giusta” che possa cancellarne una sbagliata? 
Mai, mai. Nessuna guerra è giusta. E nessuna guerra è paragonabile ad un’altra guerra. Nessun disastro si rimedia con un altro disastro. Ognuno è disastro per conto suo, per ragioni diverse, per politiche diverse, interessi diversi. È molto triste ma è così.

Non c’è da avere un po’ paura di un pensiero unico “interventista” e di una informazione che indossa la divisa militare e accusa i pacifisti di essere, in sostanza, al servizio di Putin? 
Guai ad assoggettarsi a un pensiero unico. Ognuno deve pensare con la propria testa, ma purtroppo non te lo lasciano fare, perché ti mettono nella testa quello che vogliono. Il potere ha sempre fatto questo. Vuole rincretinire un popolo intero, o immaginare di riuscirci. È una cosa allucinante, perché sta risuccedendo di nuovo. Anche se non è paragonabile un dittatore con un altro. Fanno la gara ad essere uno peggio dell’altro. Il pensiero unico fa pensare al nazismo. Un popolo colto, quello tedesco, nel cuore dell’Europa, e tutti applaudivano insieme a quel caporale nazista innalzatosi a Fuhrer, e lo facevano forse per sentirsi più forti. Chi urla sembra che abbia ragione. E questo è il problema.

In molti in queste drammatiche settimane, si sono cimentati nella riscrittura della storia, avanzando parallelismi molto gravi, come quello tra Putin a Hitler. 
Non sono d’accordo. È assolutamente sbagliato azzardare paragoni del genere. Sono due dittatori diversi, motivi diversi e credo che un dittatore come Hitler non è rinato ancora.

Sulla base della sua straordinaria esperienza di vita e di scrittura, le chiedo: qual è l’unicità della Shoah? 
L’unicità è che gli ebrei sono stati perseguitati, sterminati a milioni, per ragioni razziali. Non è che erano in guerra con qualcuno. Soltanto perché erano ebrei. Non erano nemici della Germania, o perché in guerra con qualcuno. Hanno portato via i neonati dalla pancia della madre fino all’ultimo anziano. La soluzione finale. Il tentativo in Europa di sterminare tutti gli ebrei. Per ragioni razziali. Come diceva Primo Levi, quella è la sua unicità. Io credo che nessuna guerra sia paragonabile e Zelensky ha sbagliato quando ha paragonato ciò che sta avvenendo in Ucraina, per quanto terribile e inaccettabile, alla Shoah. Ha fatto davvero una brutta gaffe. È stato un inciampo grave. Né si poteva chiedere aiuto in armamenti da Israele, un Paese non ancora stabilizzato, che ha ancora problemi molto grandi con i palestinesi. Non ci si rivolge a un Paese così complicato, così pieno ancora di problemi, chiedendo armi per il fatto che lui è ebreo.

A proposito di armi. Il Parlamento italiano, ha dato, a larghissima maggioranza, il via libera all’invio di armi all’Ucraina… 
No, io non sono d’accordo con questa decisione…

Perché? 
Perché un’arma porta ad un’altra arma. L’arma porta la morte. Si fornisce pane, si fornisce aiuto, si fornisce tutto. Tutto, meno che le armi. Il mondo è pieno di armi. Ne vogliamo ancora di più? Quando creano armi, le creano per uccidere. Vogliamo fare del mondo, come diceva mio marito Nelo Risi, un Museo delle armi? Le armi servono per aggredire, per uccidere. Io sono contro qualsiasi arma, anche un coltello.

Si dice spesso che senza memoria non c’è futuro. Ma la memoria non rischia a volte di essere manipolata a fini politici, o addirittura di guerra? 
Assolutamente sì. La memoria può essere manipolata. Ognuno può ricordare e far ricordare a modo suo. Per quanto riguarda noi, i pochi sopravvissuti ancora a questo mondo, dei campi di sterminio nazisti, sicuramente raccontiamo la verità. Io ho una memoria di ferro, e non mi dimentico. Possono spargere memorie false, quelle che conviene in quel momento a quel Paese, a quella politica. Possono deformare e mistificare tutto, questo è il problema. E hanno iniziato a farlo immediatamente dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Il popolo si adegua al potere del momento. È una tragedia umana. Chi vuole il potere è capace di tutto, di qualsiasi mistificazione. Appiattimento, negazionismo. È capitato di tutto, soprattutto con la Shoah.

La nostra attenzione è concentrata sulla guerra in Ucraina. Ma nel mondo esistono anche altre guerre, le cosiddette guerre “dimenticate”, tragedie apocalittiche che non fanno notizia, non suscitano empatia: lo Yemen, la Siria, l’Afghanistan etc. Esiste dunque una gerarchia del dolore? 
Diciamo le cose come vanno dette: c’è un razzismo nel dolore. Ci sono popoli di serie A, serie B, serie C… Non è uguale il nostro sentimento verso i perseguitati del momento. Dipende chi sono. Se sono lontani, ci toccano meno e sembra che non ci riguardino. E invece ci riguardano tutti, ovunque siano nel mondo. Perché si riflettono sulla nostra vita, sulle nostre economie, sul come siamo cittadini del mondo. È tutto legato. Viviamo in un mondo globalizzato. E guai perché non c’interessa quello che succede in Africa, in Afghanistan o in Siria… È altrettanto vicino. Il fatto è che l’Ucraina è nel cuore dell’Europa, ed è per questo che ne sentiamo molto di più la vicinanza, l’empatia. Ora si aprono le porte ai profughi dall’Ucraina. E questo è bene. Ma tra chi plaude, ci sono anche quelli che quando si è trattato di profughi di altre nazionalità, provenienze, hanno gridato all’invasione e hanno invocato i respingimenti, anche se questo voleva dire affogarli in mare o ricacciarli in qualche centro di detenzione molto simile a un lager.

Historia magistra vitae. Parole di Cicerone (De Oratore II, 9). Ma perché dalla storia, soprattutto dai suoi capitoli più tragici, non abbiamo imparato niente? 
Nulla. E questo lo ripeto da sessant’anni, quando sono invitata a parlare nelle scuole, o nei miei libri. Le cose si ripetono, anche se in forme diverse, ma la bruttura è sempre la stessa. L’uomo non sa vivere in pace neanche con se stesso.

È un destino inappellabile questo? 
Quanto vorrei dire che no, non è così. Ma da quando io sono al mondo, c’è sempre stata da qualche parte la guerra. Ora siamo più angosciati, perché la guerra è molto più vicina a noi, noi europei, e quindi siamo molto angosciati. Però dovremmo angosciarci anche per le altre guerre. Perché ogni vita ha lo stesso valore di un’altra. Che siano neri, che siano gialli, che siano credenti musulmani, cristiani, ebrei o quello che è. Ogni vita è un valore unico. Ogni essere umano è un mondo a sé.


(Il Riformista, 26 marzo 2022)

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