19 Agosto 2019
Quotidiano nazionale

Dipende da lei. Ditelo ai demografi

di Marina Terragni


Il boom economico degli anni Sessanta fu accompagnato e celebrato da un parallelo baby-boom, apice nel 1965 con 1 milione di nati. Oggi, in pieno sboom, i nati sono meno della metà – 449 mila nel 2018 – numero più basso dall’Unità d’Italia. Tasso di fecondità dell’1.3 per donna, età media della madre sempre più elevata (quasi 32 anni). Ultimi in Europa e tra gli ultimi nel mondo, il ricambio generazionale non è garantito.

Bastano le ragioni economiche e l’assenza di crescita a spiegare il declino?

In un’intervista a La Repubblica Carlo Cottarelli rovescia il ragionamento: semmai è la denatalità a frenare l’economia. Meno giovani = meno innovazione, minore slancio, meno crescita, per incentivare la quale servono misure per la natalità sul modello di Svezia e Francia.

Cottarelli non nomina quasi le donne e il loro ruolo decisivo nella partita: ma è soprattutto il desiderio di essere madri a muovere i numeri.

Sostegni e incentivi contano: lavoro – c’è una correlazione diretta tra occupazione femminile e natalità –, aiuti economici e servizi che possano compensare la perdita di quelle famiglie estese che tradizionalmente condividevano con le madri gioie e fatiche del “nurturing”. Oggi i nuclei sono sempre più piccoli e le mamme sempre più sole. Anche le migranti prolifiche si adattano rapidamente alle medie occidentali.

Un buon welfare però non basta. Si è visto in Francia dove, dopo il balzo di natalità seguito all’introduzione di misure di sostegno, il numero dei nati è tornato a decrescere a causa della sfiducia nel futuro e dell’infelicità nel presente.

Il desiderio delle donne è inaggirabile: sono pur sempre loro a decidere se, come e quando avere bambini, libertà tra scelta e istinto che contiene in sé un principio regolativo. Ma oggi, come scrive la teologa femminista Mary Daly, questa “libertà riproduttiva è repressa ovunque”. La contrattazione è estenuante: con i datori di lavoro, con i partner. I soldi non bastano mai, il tempo non c’è mai. Il momento non è mai giusto, tutto congiura per un differimento fino al limite dell’età fertile o anche oltre. Le aziende più smart offrono come benefit il congelamento degli ovociti purché si continui a rinviare e a lavorare come gli uomini.

Un tempo oggetto di venerazione e gratitudine, la condizione di madre è diventata un residuo arcaico, un lusso insensato, un sassolino che inceppa i meccanismi della produzione e del profitto: perché mai una donna dovrebbe desiderare qualcosa che il mondo, fatta eccezione per le fredde considerazioni dei demografi, dipinge come indesiderabile e molesta? Lo slancio misterioso e libero di quel desiderio si indebolisce e perde senso convertendosi in quel desiderio d’oggetto che si esprime nella disperata ricerca di un figlio last minute, con l’aiuto di tecnologie riproduttive sempre più invasive e business-oriented che ti rivendono la fecondità di cui ti sei “liberamente” auto-espropriata. 

Vera politica per la natalità – e per la salvezza di tutti – è rimettere al centro la madre e il bambino, atomo inscindibile. È organizzare il mondo intorno a questa matrice di civiltà e non, al contrario, costringere le donne a adattarsi a un mondo in cui valori materni come gratuità, relazione e dono soccombono di fronte alla misura universale dei soldi, del profitto, della solitudine armata di diritti.


(Lasciateci libere di essere mamme, Quotidiano Nazionale, 19 agosto 2019)

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