22 Gennaio 2023
Il Sole24Ore

Donna nella tempesta dell’umanità

di Elisabetta Rasy


Elisabetta Rasy ha scritto il libro Dio ci vuole felici. Etty Hillesum o della giovinezza (HarperCollins, pagg. 160, € 18) e, in questo articolo, ne spiega la genesi. Il Diario dell’autrice uccisa ad Auschwitz nel 1943 entra nella vita di Elisabetta Rasy quando è giovane e le fa sentire che la ragazza olandese voleva spiegarle qualcosa. Così, quelle pagine, quasi un romanzo di formazione, diventano una presenza amica e Rasy decide di scrivere una sorta di diario di lettura del libro, soprattutto per la speciale fisionomia di Etty, donna tra fragilità e forza che difende la giovinezza, con tutte le sue passioni e anche con i suoi tormenti.


«Bisognerebbe leggere, credo, soltanto quei libri che mordono e pungono», scriveva nel novembre del 1903 Franz Kafka a un amico. Non sono d’accordo con questa frase e sento più congeniale l’affermazione che fa Marcel Proust, nel suo piccolo, veemente saggio sul leggere, quando definisce la lettura «un’amicizia pura e tranquilla» perché, poi spiega, «tra il pensiero dello scrittore e il nostro non si interpongono gli elementi irriducibili, refrattari al pensiero, dei nostri differenti egoismi». Ma a entrambi mi sentirei di fare una stessa obiezione: la lettura non è sempre uguale perché i libri sono differenti l’uno dall’altro, non solo come qualità, ovviamente, o potenza, o invenzione, ma per una loro stessa profonda diversa natura, varia come la natura umana. Per dirla in breve, ci sono dei libri, perfetti nella loro leggerezza, che ci accompagnano serenamente al sonno e altri, meravigliosi per profondità, che ci tengono svegli. Ma dalle loro diverse posizioni lo scrittore della Recherche e l’autore del Processo si trovano poi a dire una cosa simile. Kafka: «Un libro deve essere un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi». Proust: «Finché la lettura resta per noi l’iniziatrice le cui chiavi magiche ci aprono, nel profondo di noi, la porta delle dimore in cui non avremmo saputo penetrare da soli, la sua funzione nella nostra vita resta salutare».

E forse più che salutare: la prima volta che ho letto il Diario di Etty Hillesum, alla metà degli anni 80, mi è sembrato che le sue pagine fossero un messaggio diretto a me personalmente, soltanto a me, così che certi pensieri che non riuscivo a formulare, quei pensieri che si acquattano, ombrosamente nel fondo della mente, potessero trovare forma e venire alla luce, e che la ragazza olandese volesse spiegarmi qualcosa della mia giovinezza che stentavo a decifrare. Aveva 27 e 28 anni quando, tra il 1941 e il 1942, riempì i suoi quaderni di note quotidiane. Non ne avrebbe mai avuti più di 29: era nata nella provincia olandese nel gennaio del 1914, sarebbe morta ad Auschwitz nel novembre del 1943. Il Diario mi forniva sicuramente delle chiavi magiche, e senza crudeltà si apriva un varco nel ghiaccio del cuore, che poi altro non è che una sbadata inconsapevolezza, ma soprattutto incominciò a far parte del mio paesaggio interiore come una presenza amica. Per questo, credo, molti scrittori hanno scritto di altri scrittori: per un attaccamento che nasce da un rapporto strettamente personale, da una imprevista intimità cui si vuole dare un seguito. Ci sono dei libri che sono degli incontri che non finiscono.

Il Diario di Etty, scritto nello stesso momento storico e nella stessa martoriata Amsterdam in cui Anna Frank scriveva il suo, meno conosciuto ma non meno importante di quello della adolescente di 15 anni più giovane, è molte cose insieme. È un indimenticabile documento della ferocia dell’occupazione nazista e del crescendo della persecuzione contro gli ebrei; al contrario di Anna, Etty andava in giro per la città che di giorno in giorno diventava più ostile – dalle panchine ai parchi, dai negozi di frutta agli autobus: tutto vietato agli ebrei. Un documento tanto più preciso di cosa è la persecuzione di una dittatura nella quotidianità perché redatto quasi con distacco, qualche volta persino con ironia. Ed è sicuramente la straordinaria testimonianza della sua forza spirituale e della sua originale resistenza a quelli che chiama «i tempi scatenati»: Etty Hillesum è certo una maestra della non violenza nel suo rifiuto dell’odio contro l’odio, nello sforzo di abbracciare sotto uno stesso sguardo l’inferno e il paradiso che ritiene essere dentro ogni essere umano. Infine, le sue pagine contengono la voce di una credente speciale, che di fronte all’orrore non si rivolta contro Dio, sostenendo che siano gli uomini a doverlo aiutare e non il contrario.

Ma quello che mi ha portato a scrivere una sorta di diario di lettura del Diario è stata soprattutto la speciale fisionomia di donna contro la tempesta, tra fragilità e forza, tra timore e coraggio, che Etty incarna nel difendere la sua giovinezza, con tutte le sue passioni e anche con i suoi tormenti. Non una mistica, come qualcuno l’ha definita: insofferente ed estranea ai giochi di ruolo tradizionali, sempre all’ascolto intelligente e irriverente di sé stessa, in cerca di verità nell’amore, nel sesso, nel rapporto con la famiglia e in quello con la religione, questa ragazza olandese proprio dal cuore più tenebroso del secolo lascia in eredità al futuro un modello di libertà femminile e non solo femminile. Una libertà fondata sulla responsabilità, in una sintonia da lontano con un’altra giovane donna ebrea, Simone Weil, che affermava la presenza dei doveri accanto ai diritti. Anche Simone muore nel ’42, travolta nell’esilio dalla consunzione e dalla disperazione: come Etty è una figura di quella distruzione della intelligenza ebraica perseguita dai nazisti, che priva l’Europa, per via di morte o per via di emigrazione, di un prezioso patrimonio di pensiero – basti pensare, esempi tra i moltissimi, ad Hannah Arendt che fugge in America, o a Walter Benjamin che si toglie la vita perché sa di non potersi mettere in salvo.

Il Diario mi è dunque apparso come uno straordinario romanzo di formazione al femminile. Per questo nel mio libro, dialogando con le pagine di Etty, ho convocato altre figure, che mi sono sembrate appartenere a una medesima costellazione di inquietudine, intensità spirituale e libertà: scrittrici come Marguerite Duras o Katherine Mansfield, ma anche personaggi letterari, la Micol del Giardino dei Finzi-Contini di Bassani, o la Tatiana dell’Eugenio Onegin di Puškin, o scrittori e poeti, Rainer Maria Rilke o Joseph Conrad. Nelle prime pagine del Diario, Etty definiva il suo cuore «un gomitolo aggrovigliato»: scrivere a partire dalle sue pagine ha voluto dire riprendere i diversi fili del gomitolo, afferrare l’eredità che contengono e riportarla nel qui e ora del mio presente. Così funzionano i classici, sempre contemporanei, spesso un passo avanti a noi.


(IlSole24Ore-Domenica, 22 gennaio 2023)

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