2 Luglio 2022
Il Quotidiano del Sud

Donne di Calabria: Giuditta Levato

di Franca Fortunato


«Bella Giuditta. Spiga rigogliosa, petalo di rosa, rosa nel bicchiere» sono le parole con cui si chiude la ballata che la cantastorie Francesca Prestia ha dedicato a Giuditta Levato e da cui martedì sera ha preso il via su Rai Storia la seconda puntata di “Donne di Calabria”. Storia di una donna, una contadina, uccisa per aver difeso, insieme ad altre/i, il diritto di coltivare le terre abbandonate e assicurare a se stessa e ai suoi figli una vita dignitosa nella Calabria povera del secondo dopoguerra. Tra immagini e filmati di repertorio, interviste e testimonianze, la storia di Giuditta, raccontata dall’attrice Camilla Tagliaferri, si è concentrata esclusivamente sulla tragedia, riproponendo l’immagine della “martire” e dell’“eroina”, come se la sua vita fosse iniziata e finita nell’arco di una giornata. Anche lei ha avuto una madre, un padre, un’infanzia e un’adolescenza nel periodo più buio e triste della storia della Calabria e del Paese: era nata nel 1915, si è sposata, ha avuto dei figli, si è iscritta al Partito comunista, ha costituto una cooperativa agricola, aveva delle amiche, avrà avuto i suoi sogni, le sue gioie e i suoi dolori, insomma aveva alle spalle una vita vissuta, che aveva fatto di lei la donna che era diventata. È di lei che volevo sapere più di quanto sapessi già.

Nel giorno della tragedia, quando con le compagne e i compagni della cooperativa si scontrò con il latifondista, il barone Pietro Mazza, che rivendicava la proprietà della terra come “roba mia”, abbiamo visto la dignità, il coraggio e la forza con cui seppe tenergli testa fino allo sparo del mezzadro, che l’ha colpita a morte insieme alla creatura che portava in grembo. È il ricordo commosso del figlio Carmine, allora bambino, che ci ha portato dentro quel dramma e ha aperto uno spiraglio sulla donna. «Il giorno dell’uccisione mia madre prima di andare via mi ha detto di aiutare la nonna, perché era anziana. Vivevamo con lei mio fratello e io. Quando abbiamo sentito uno scoppio, abbiamo capito subito che era uno sparo e mia nonna mi disse di andare a vedere, c’era anche il nonno lì. Con un mio amico siamo corsi a piedi scalzi. In un minuto ero lì. Non mi hanno fatto avvicinare, perdeva sangue, c’era mio nonno e altra gente intorno a lei. C’era un altro gruppo di uomini intorno a quello che aveva sparato. I carabinieri arrivarono in calesse dopo un’ora, mentre mia madre era ancora a terra. L’hanno portata a casa e messa sul letto. Ci voleva un mezzo per portarla all’ospedale a Catanzaro, ma non si trovava facilmente. Dopo un’altra ora si è trovato un camioncino. Quella sera stessa o la sera dopo è venuta mia zia a prendermi perché sapeva che volevo vedere la mamma per l’ultima volta. Prima mi ha dovuto comprare un paio di scarpe, non potevo andare scalzo. Ho visto che mia mamma faceva fatica a respirare quando parlava. L’ho baciata, mi ha abbracciato forte e poi non l’ho vista più. Al funerale c’era la bandiera rossa, il prete non è venuto.» «Di giorno lavorava, la sera andava a ballare con le altre amiche. Non mi portava mai con lei alle riunioni. Il suo impegno politico era dentro la cooperativa.» Il coraggio, la forza, la passione politica e l’amore per la libertà di Giuditta rivivono nell’intervista di Caterina Trovato, storica bracciante di Badolato; rivivono nelle lotte bracciantili di Melissa, dove venne uccisa Angelina Mauro, e nelle lotte delle raccoglitrici di gelsomini, ricordate nella trasmissione. Donne dimenticate, sconosciute alle giovani generazioni, per cui ben vengano trasmissioni come “Donne di Calabria”.


(Il Quotidiano del Sud, 2 luglio 2022)

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