19 Maggio 2021
Il Fatto Quotidiano

Dopo le bombe, gli esperti da tivù

di Manuela Dviri


La parte più difficile da sopportare di questa guerra è il servizio che ne fa la televisione pubblica, che da quando è iniziato il conflitto non ha assolutamente nulla da dire, ma in compenso non sta mai zitta. Un rumore di fondo fatto di sproloqui infiniti che in teoria dovrebbero farci passare il tempo tra un razzo e l’altro, tra un problema antico e uno nuovo. Sono giornalisti militari, commentatori politici di destra (molti) e di sinistra (pochi), generali e colonnelli e capi di stato maggiore in pensione, politici passati e futuri, esperti di Medio Oriente e di politica nazionale (molto malandata) e internazionale (anche). Ci sono an che gli psicologi che ti insegnano come respirare per calmarti e calmare i tuoi bambini. E gli insegnanti di yoga che ti consigliano la posizione migliore per ripulire i tuoi chakra dopo l’annuncio di razzi su Tel Aviv.

E a proposito, quando i razzi annunciati non compaiono a me viene un’angoscia tremenda e non riesco a addormentarmi nel mio pigiama da rifugio perché temo che qualcosa di peggio e di più pericoloso e sconosciuto stia per succedere al posto dell’orrore che già purtroppo conoscevo. Girano, gli esperti, tra uno studio televisivo e l’altro. Spesso bisticciano tra di loro. Instancabili. Sempre gli stessi. I miei preferiti sono quelli che ti ricordano che non devi scendere giù con le ciabattine o correndo perché la gente continua a rompersi gambe e braccia pur di arrivare in fretta al luogo protetto. O quelli esperti di digitale che seguono tutto ciò che esce per Twitter, YouTube, Instagram e Facebook, compresi i messaggi che girano nel mondo arabo e annunciano la imminente fine, tra ore o al massimo giorni, dello Stato d’Israele. E facciamo i dovuti scongiuri. Sono quasi tutti uomini, gli esperti. Compreso lo psicologo infantile dall’aria truce. Non li sopporto. Non li reggo più. E intanto stiamo raggiungendo più o meno la fine di questo conflitto. Come si fa a saperlo? Facile. Perché le scene di distruzione sono ormai terribili. Di qua e di là (ma più di là che di qua grazie all’Iron Dome), e forse anche perché le due parti sanno bene che a un certo punto bisogna smetterla. Ma ambedue vogliono anche la foto della vittoria. Molti bambini (di Gaza) morti sarebbero l’ideale per Hamas. O civili morti in grandi numeri in Israele. Oppure scene di scontri armati tra ebrei e arabi israeliani. Molte strutture di Hamas distrutte, molti importanti comandanti di Hamas uccisi senza provocare vittime tra i civili, sarebbe l’ideale per Israele. Io invece avrei un’altra idea, un sogno che tutti mi dicono che è follia pura. Il mio sogno è un piano Marshall per Gaza. Che dal mondo intero arrivino i fondi per la costruzione di alberghi bellissimi e di spiagge straordinarie per gli yacht di ricchi turisti. Una free zone senza dazi. Una Las Vegas del Medio Oriente. Abraham dice che son proprio via di testa. Eppure sarebbe una gran bella foto. E tutti sappiamo che col benessere si riescono a fare veri miracoli. Ce ne sarebbe anche un’altra. Quella di gruppi misti, arabi e ebrei che stanno lavorando insieme in questo paese come hanno sempre fatto senza pensare che in questo ci fosse qualcosa di strano o di straordinario, negli ospedali, nelle università, nei ristoranti, nelle scuole, nelle banche, ovunque. E questa foto ce l’abbiamo già, in realtà.


(Il Fatto Quotidiano, 19 maggio 2021)

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