9 Settembre 2019
27esimaora.corriere.it

«È sempre violenza sessuale se manca il pieno consenso»

di Giuseppe Guastella


Tra i massimi esperti nei reati contro i «soggetti deboli», Fabio Roia, presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano, di recente ha pubblicato il libro «Crimini contro le donne» (Franco Angeli). 
Dottor Roia, come nel caso dei 4 giovani genovesi accusati di aver violentato una 19enne, spesso la donna che denuncia deve affrontare la reazione di chi dice che era consenziente. Come si fa a stabilire la verità? 
«La prima considerazione da fare è che nel nostro ordinamento la persona offesa del reato ha l’obbligo di dire la verità sia alla polizia giudiziaria, sia al pm, sia al giudice. Se non lo fa, commette reati gravi come le false dichiarazioni al pm, la falsa testimonianza e la calunnia. L’indagato-imputato, invece, non ha quest’obbligo. Questo è già un discrimine che dovrebbe costituire un freno a false dichiarazioni da parte delle vittime».

È sufficiente?
«La giurisprudenza dice che è sufficiente il racconto della persona offesa per arrivare a un giudizio di colpevolezza, purché il giudice verifichi a fondo la credibilità della testimonianza. E qui entra in campo la specializzazione della polizia giudiziaria, del pm e del giudice che devono conoscere i modi di comportamento delle vittime per valutare se non ci siano elementi probatori che le smentiscono. Questo consente di filtrare eventuali denunce strumentali che, però, nella mia esperienza ho visto molto raramente. Il processo penale è troppo traumatico perché una donna scelga di affrontarlo calunniando».

Quando una donna è da ritenere consenziente? 
«Quando dà un consenso pieno, prima e durante l’atto. Una donna potrebbe dire sì all’inizio e poi cambiare idea. In questo caso, l’uomo si deve fermare, altrimenti c’è violenza».

E se lei non è in grado di dare un consenso? 
«Se è ubriaca o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, l’uomo ha il dovere di astenersi in ogni caso dall’ avere con lei rapporti sessuali. Nella norma che punisce la violenza sessuale, oltre ai casi di costrizione con la violenza fisica o con la minaccia, si fa riferimento all’abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica, anche transitorie».

Succede che le vittime non denuncino subito la violenza, ma dopo un certo tempo.
«Non esiste un catalogo di comportamenti delle vittime di violenza. L’esperienza insegna che il modo di agire non è stereotipato, ciascuna lo fa a modo suo in relazione all’aggressione subita e alla sua situazione. C’è chi chiama subito la polizia, chi lo dice dopo giorni, chi urla e chi sta zitta. Normalmente la vittima tende a colpevolizzarsi perché pensa di aver commesso qualcosa che ha spinto l’uomo ad abusare di lei. Per questo la legge concede non tre, ma sei mesi alla vittima per valutare, per quanto possibile, più serenamente la situazione e poi denunciare».

Sempre più spesso vengono denunciate violenze di gruppo. 
«È un reato autonomo con pene più severe della violenza sessuale perché ha un’elevatissima traumaticità per la vittima».


(27esimaora.corriere.it, 9 settembre 2019)

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