18 Maggio 2023
Le Monde Diplomatique

Errori ripetuti dell’adozione internazionale

di Pierrick Naud


Nonostante le buone intenzioni, atti criminali 


Rappresentazioni ingenue hanno per lungo tempo dotato l’adozione internazionale di molte virtù. Sul piano storico, questa attività prende avvio alla fine degli anni ’60. La risonanza mediatica delle guerre del Vietnam (1955-1975) e del Biafra (1967-1970) contribuisce infatti all’emergere di una nuova etica umanitaria. I paesi del Sud sono considerati pieni di orfani. Adottare non significa solo offrire una famiglia a un bambino che non ne ha una; significa anche salvare un essere umano sofferente e, in sostanza, offrire un po’ della ricchezza dell’Occidente ai diseredati. Secondo Sébastien Roux, ricercatore del Centro nazionale per la ricerca scientifica (Cnrs), diversi altri fattori contribuiscono all’esplosione del fenomeno: «La rivoluzione dei trasporti, la fine degli imperi coloniali, l’assenza di politiche sociali e sanitarie efficaci in molti paesi del Sud». La pratica si diffonde in tutta Europa, in particolare in Svezia, che ha il più alto tasso di adozioni pro capite al mondo1. Dagli anni sessanta, le adozioni internazionali nel paese scandinavo hanno riguardato circa 60.000 bambini, soprattutto da Corea del Sud, India e Colombia. Il Centro svedese per le adozioni, fondato nel 1972 da genitori adottivi in collaborazione con lo Stato, è diventato uno dei più grandi al mondo. A dimostrazione dell’importanza dell’adozione nella cultura svedese, nel paese sono stati pubblicati più di trecento libri sull’argomento, molti dei quali rivolti ai bambini2. La Francia, dal canto suo, diventa il secondo paese destinatario, quanto a numero di bambini adottati, dopo gli Stati uniti. Il picco è stato raggiunto nel 2005, con 4.136 visti di «adozione» rilasciati dal Quai d’Orsay [sede del Ministero degli Affari Esteri, NdR], rispetto ai 935 del 1980. Ma su entrambe le sponde dell’Atlantico una serie di scandali contribuisce via via a offuscare la reputazione di un mondo caratterizzato da buoni sentimenti e promesse di salvezza. Già nel 1975, la rivista cilena Vea allertava circa l’esistenza di una «misteriosa organizzazione che adotta i bambini nati da madri non sposate e li spedisce in Europa», un fatto che inquietava le autorità responsabili del rilascio dei passaporti, preoccupate per il numero di bambini cileni che lasciava il paese. L’articolo attribuiva il ruolo di perno ad Anna Maria Elmgren3. Cittadina svedese, stabilitasi a Santiago alla fine degli anni 1960 e sposata con un carabinero, ha acquisito familiarità con le procedure di adozione locali aiutando la sorella a trovare un bambino in Cile4. In seguito, ha organizzato circa duemila adozioni come rappresentante locale dell’associazione svedese Adoptionscentrum tra il 1973 e il 1990. Nel 2003, un’inchiesta della giornalista cilena Ana María Olivares rivela che Elmgren si avvaleva di una vasta rete di assistenti sociali, insegnanti e giudici che le segnalavano i bambini e facilitavano il processo di adozione. Esmeralda Quezada, assistente sociale della città di Concepción, poi promossa alla carica di presidente del tribunale minorile, informava Elmgren non appena risultavano disponibili bambini. Venivano esercitate pressioni sulle madri povere che cercavano un aiuto economico o un asilo nido, e sulle madri single. Ma poteva trattarsi anche di bambini che camminavano da soli per strada, come nel caso di due fratelli arrestati dai carabineros per vagabondaggio: il padre, che li aveva affidati a una tata mentre lavorava, non era stato contattato e i suoi figli erano stati dati in adozione. Il loro fascicolo indicava che erano nati fuori dal matrimonio, il che permetteva di fare a meno del consenso del padre. Secondo il rapporto di una commissione d’inchiesta formata nel 2018 dalla Camera bassa del Parlamento cileno, «è un fatto accertato: in Cile centinaia di bambini sono stati sottratti ai loro genitori per essere adottati all’estero5» durante la dittatura del generale Augusto Pinochet. Il metodo più comune era quello di far credere alla madre che il figlio fosse morto e che il corpo fosse stato donato alla scienza, evitando così le denunce. Durante la dittatura, quasi 22.000 bambini furono adottati e inviati in 25 paesi, tra cui Stati uniti, Francia e Italia.


«Siete stati rapiti»


Fredrik Danberg, figlio adottivo del funzionario di una grande banca scandinava, è cresciuto a Båstad, una prospera regione della Svezia. Ha 45 anni. Per tutta l’infanzia, a lui e a suo fratello gemello era stato detto che la loro madre biologica, una donna cilena, li aveva dati in adozione perché erano malati e lei era povera. Sostenuti da attivisti per i diritti degli adottati, hanno finalmente trovato la sorella su Facebook e lei li ha aiutati a contattare la loro madre naturale. Il primo incontro è avvenuto tramite schermi: lei parlava spagnolo, loro parlavano svedese, con un interprete. Quando i bambini avevano due mesi, racconta la donna, avevano dovuto portarli in ospedale a Santiago per curare un eczema facciale. Pensava che le fossero stati portati via per essere curati, ma non le erano mai stati restituiti. Il personale dell’ospedale le aveva poi detto che i gemelli erano morti. La donna aveva chiesto di vedere i corpi, invano. Il padre alla fine si era rassegnato alla morte dei figli, ma lei li aveva cercati ovunque. Non aveva mai firmato alcun documento di adozione. «Siete stati rapiti», ha assicurato ai figli. In Francia, il settore delle adozioni internazionali non si è mai ripreso completamente dall’episodio dell’Arche de Zoé. Il 25 ottobre 2007, sei membri di quest’associazione vengono arrestati in Ciad mentre cercano di imbarcare 103 bambini coperti da false bende e attaccati a flebo. Per le famiglie che li attendono in Francia, sono vittime della carestia nel Darfur, una regione del Sudan occidentale. L’indagine condotta dalla polizia locale stabilisce che si tratta in realtà di bambini di nazionalità ciadiana, con genitori in gran parte viventi, e legalmente non adottabili. La vicenda assume i contorni di una crisi diplomatica tra Parigi e N’Djamena, quando il presidente ciadiano Idriss Déby Itno denuncia il «traffico di esseri umani» da parte dell’ex potenza coloniale, con la complicità di parti terze senza scrupoli. Condannati in Ciad e poi rimpatriati in Francia per scontare la pena, i protagonisti francesi vengono deferiti al tribunale penale di Parigi per «favoreggiamento del soggiorno illegale di minori stranieri in Francia», «frode» ed «esercizio illegale dell’attività di intermediazione con finalità di adozione». Il 12 febbraio 2013, il Tribunale correzionale di Parigi condanna il presidente dell’Arche de Zoé, Éric Breteau, e la sua compagna Émilie Lelouch, a tre anni di carcere, di cui uno sospeso.

Disastri naturali, guerre, cambiamenti politici – soprattutto quelli molto mediatizzati in Occidente – hanno portato a vere e proprie corse agli “orfani” stranieri. I contesti caotici nei quali si verificavano questi eventi hanno inevitabilmente favorito comportamenti opportunistici. In Romania, dopo il rovesciamento di Nicolae Ceauşescu nel 1989, i canali televisivi europei trasmettono in prima serata immagini di bambini malnutriti incatenati ai letti in collegi insalubri. L’emozione porta all’apertura di un «mercato»: decine di migliaia di bambini vengono esfiltrati dalla Romania negli anni 1990, prima che il paese arrivi a vietare le agenzie di adozione internazionale nel 2001. Dal canto suo, la politica del figlio unico adottata da Pechino nel 1979 suscita in Occidente la fantasia di bambine abbandonate in massa dalle famiglie. Con l’integrazione della Cina nell’economia globale, all’inizio degli anni 2000, gli orfanotrofi cinesi aderiscono al sistema di adozione internazionale e diventano i primi fornitori di bambini. Nonostante la ratifica da parte di Pechino, nel 2005, della Convenzione dell’Aia sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale – il testo di riferimento in materia di regolamentazione dell’adozione internazionale –, le reti di trafficanti prosperano6.

Nel 2005, dieci persone vengono condannate dalla giustizia cinese per traffico di esseri umani nella provincia di Hunan per aver venduto bambini – per 370 euro – a orfanotrofi che poi li offrivano ad agenzie di adozione occidentali per 1.000-5.000 euro. Ma nessuna organizzazione in Europa o negli Stati uniti è stata sanzionata per aver acquistato quegli stessi bambini. Haiti: dopo il terremoto del 2010 che aveva provocato oltre 200.000 morti, le agenzie di adozione private si precipitano sull’isola. Un’organizzazione battista statunitense viene bloccata al confine con la Repubblica dominicana mentre trasporta trentatré bambini senza autorizzazione né documenti ufficiali7.

Questi scandali hanno fatto precipitare l’adozione internazionale in una crisi morale profonda8. Nel 2019 sono arrivati sul territorio francese solo 421 bambini, con un calo del 90% rispetto al 2005. I tentativi di regolamentare il settore per placare le preoccupazioni non sono riusciti a ripristinare la fiducia e il processo di adozione è ora visto con sospetto. Per moralizzare le pratiche, il Vietnam, ad esempio, consente ora l’adozione internazionale solo di bambini con «bisogni specifici», cioè affetti da patologie. Sulla carta, la pratica è conforme alla Convenzione dell’Aia, in quanto favorisce la permanenza dei bambini nel loro ambiente d’origine e autorizza la mobilità internazionale per motivi umanitari. Nel frattempo, nella pratica, osserva il sociologo Sébastien Roux, «la preoccupazione etica alla base della Convenzione dell’Aia è stata dirottata verso una politica nazionalistica che distribuisce i bambini in base al loro stato di salute, mandando di fatto i meno desiderabili al di là dei confini simbolici e politici della comunità nazionale».


Maternità surrogata in India e Ucraina


In Francia, le organizzazioni incaricate di accompagnare l’adozione incoraggiano i futuri genitori a elaborare un progetto compatibile con questi profili di bambini e a prepararli ad affrontare il risvegliarsi di «traumi» psicologici legati all’abbandono. Pur moralizzandosi, il settore dell’adozione internazionale scoraggia così molte vocazioni genitoriali. Mentre il lato oscuro dell’adozione sta finalmente venendo alla luce, una nuova pratica vi si sostituisce: la gestazione per altri (o maternità surrogata). Questa offre alle coppie occidentali ciò che l’adozione non permette: un neonato, di solito bianco, con i geni dei genitori o comunque di loro scelta. In genere, una donatrice di ovuli bianca viene selezionata per il suo aspetto e gli embrioni fecondati vengono impiantati in una madre surrogata indiana o ucraina, scelta per le tariffe competitive – e per il fatto di appartenere a un paese la cui legislazione favorevole garantisce pieni diritti ai genitori intenzionali. I clienti della gestazione, d’altronde, certamente non hanno la sensazione di aver salvato un bambino, ma in cambio non rischiano di essere accusati di aver rubato il figlio di qualcun altro. Ma la storia sembra ripetersi. La surrogazione di maternità è già macchiata dalle accuse di madri che hanno frainteso i contratti (redatti in inglese indipendentemente dal paese di origine), di frode… I primi figli nati da questa pratica hanno già iniziato a denunciarla9. Dal 2011, la conferenza dell’Aia di diritto internazionale privato (Hcch), un’istituzione intergovernativa nella quale sono presenti 90 Stati e l’Unione europea, riunisce ogni anno avvocati e professionisti sulla base di una constatazione: «La maternità surrogata è diventata un mercato globale, che pone una serie di difficoltà, soprattutto quando le parti coinvolte si trovano in paesi diversi». Il loro obiettivo: elaborare norme internazionali volte a «regolamentare la maternità surrogata transnazionale, e facilitare il riconoscimento reciproco delle filiazioni risultanti da contratti di maternità surrogata»10. Riusciranno a legittimare un commercio già criticato? Gli scandali passati e futuri, così come la mobilitazione di associazioni femministe, potrebbero avere la meglio su questo nuovo “mercato”, così come alla fine hanno fatto sfiorire l’adozione internazionale.


(1) Adoptions in Sweden, Adoptionscentrum, www.adoptionscentrum.se

(2) Tobias Hübinette, Sverige som adoptionsland och adopterade som migranter, Välfaïd, vol. 7, n° 2, Solna (Svezia), 2007.

(3) Wolrad Klapp, Escandaloso tráfico de guaguas chilenas, Vea, n° 1883, Santiago del Cile, 14 agosto 1975.

(4) Denuncia di Elmgren contro il canale televisivo cileno Chilevisión, rivolta alla Corte d’appello di Santiago, 8 maggio 2018.

(5) Rapporto della commissione speciale di inchiesta sugli atti degli organismi dello Stato, in relazione con eventuali irregolarità nei processi di adozione e registrazione di minori, e di controllo della loro uscita dal territorio, Camera dei deputati, Santiago del Cile, 2018.

(6) Pang Jiaoming, The Orphans of Shao, Women’s Rights in China, New York, 2014.

(7) Kathryn Joyce, The Child Catchers: Rescue, Trafficking, and the Gospel of Adoption, Public Affairs, New York, 2013.

(8) Sébastien Roux, Sang d’encre. Enquête sur la fin de l’adoption internationale, Vendémiaire, Parigi, 2022. Da qui sono tratte le informazioni di questo paragrafo.

(9) Jessica Kern, What happens when you learn that you were born through commercial surrogacy?, testimonianza del sito militante «Legalize surrogacy: why not?», www.legalize

surrogacywhynot.com

(10) Claire de La Hougue, GPA: Que s’est-il dit à la conférence de La Haye?, Gènéthique, 17 aprile 2018, www.genethique.org (Traduzione di Marianna De Dominicis). Dopo aver raggiunto il suo apice negli anni 1970, l’adozione internazionale attraversa una profonda crisi morale. Dal Ciad al Cile, dalla Francia alla Svezia, numerosi scandali hanno screditato una pratica che a lungo è stata percepita come un atto di generosità. Sulle rovine di questo settore ne sta emergendo un altro: la maternità surrogata, con il rischio di un’accresciuta mercificazione dei viventi.


KAJSA EKIS EKMAN *

(*) Giornalista. Autrice di Being and Being Bought: Prostitution, Surrogacy and the Split Self, Spinifex Press, Little River (Australia), 2013.


(Le Monde Diplomatique, 3 maggio 2023. Il manifesto, 18 maggio 2023)

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