di Giusi Fasano
Roia dice la verità: tutte le ragazze, le donne che decidono di rompere una relazione senza l’accettazione dell’altro devono considerarsi a rischio
Fabio Roia è il presidente vicario del Tribunale di Milano ed è un magistrato da sempre molto attento alla violenza di genere.
Dottor Roia, sono anni che parliamo di donne che subiscono violenze. Leggi, convegni, dibattiti, interventi nelle scuole, nelle aziende, nelle istituzioni, manifestazioni, appelli, l’attenzione dei media. Poi arriva la cronaca e sembra sia stato tutto inutile.
«Eh… lo so. Pensavamo che con il passare del tempo sarebbe svanito il modello dell’uomo legato a generazioni meno giovani, cioè quello tradizionalmente patriarcale, padrone della famiglia e della donna. Pensavamo che quel modello sarebbe svanito e si sarebbero costruite nuove relazioni. E invece permane ed è radicata l’idea del maschio che incentra la relazione sul rapporto padronale di possesso e controllo».
Secondo lei perché?
«Evidentemente in parte gli stessi modelli vengono tramandati in famiglia, soprattutto dai genitori, e quindi si acquisiscono per trasmissione. E poi quel che di positivo può arrivare dalla scuola, dalla comunicazione che adesso è trasformata dai social, non riesce a fare breccia nella mentalità dei giovani».
Giovani, appunto. Colpisce la giovane età nel caso di Filippo e Giulia.
«Nei ragazzi non si riesce a far passare il messaggio del rispetto e della libertà della donna di scegliere la propria vita. A conferma di questo le anticipo un dato significativo della rilevazione annuale del nostro tribunale: quest’anno il 40% dei reati di stalking, maltrattamenti e violenza sessuale è stato commesso da giovani fra i 18 e i 35 anni».
Trova tutto questo scoraggiante?
«In parte sì. Ma ci sono anche dati positivi.»
Per esempio quali?
«La legislazione ha fatto molti passi avanti, c’è più formazione fra chi tratta questi argomenti. E poi le giovani donne denunciano prima. Come età, intendo. Non stanno a soffrire per anni come facevano le donne della mia generazione sperando di cambiare l’uomo violento che avevano accanto. A un certo punto rompono la relazione».
Esattamente come ha fatto Giulia con Filippo. Poi, però, lui ha contato sulla sua sensibilità per riagganciarla e tenerla in qualche modo legata alla sua vita.
«Questo meccanismo è noto, purtroppo. Attenzione, come dico sempre, a non colpevolizzare lei se accetta un altro appuntamento, se non vede o sottovaluta i segnali della violenza. So che il concetto è un po’ forte ma la verità è che tutte le ragazze/donne che decidono di rompere unilateralmente una relazione senza l’accettazione dell’altro devono considerarsi a rischio di un’escalation di violenza».
Cosa manca all’antiviolenza?
«La condanna sociale nella quotidianità, cioè nel terreno dove germoglia la violenza: con battute sessiste, per esempio. O col ritenere la donna ancora un oggetto, una preda sessuale, nel giustificare l’uomo predatore che ha “esigenze sessuali”».
Cosa dire alle Giulie che oggi sono nell’ombra?
«Parlatene, parlatene, parlatene. Non dico denunciate se non ve la sentite, ma i centri antiviolenza sanno come ascoltarvi, aiutarvi, indirizzarvi. E vorrei fare una preghiera anche alle amiche, ai parenti di queste ragazze. A chi sa. Siate sentinelle sociali, convincetele a farsi aiutare. Da sole non se ne esce».
(Corriere della Sera, 19 Novembre 2023)