20 Gennaio 2023
Il Foglio

Farmaci che bloccano la pubertà. Parla il presidente della SPI Thanopulos: “In gioco il destino dei bambini, prima che possano definirlo”

di Marina Terragni


La discussione si apre anche in Italia. Finalmente. E con il botto: una lettera aperta indirizzata a Giorgia Meloni, al ministro della Salute e all’Aifa in cui il presidente della Società psicoanalitica italiana, Sarantis Thanopulos, rappresenta la preoccupazione per “l’uso di farmaci finalizzato a produrre un arresto dello sviluppo puberale in ragazzi di entrambi i sessi a cui è stata diagnosticata una ‘disforia di genere’”. E si invita a considerare seriamente “le controindicazioni a questo trattamento” che il femminismo radicale ha definito senza mezzi termini “nuova lobotomia”. Controindicazioni già considerate in paesi pionieri del cosiddetto “approccio affermativo”: in Gran Bretagna dove ha chiuso la Tavistock Clinic, principale centro per la somministrazione di questi farmaci e il servizio sanitario ha emesso nuove linee guida: dati gli effetti sconosciuti e il danno potenziale, i blocker saranno somministrati solo in contesti di protocollo di ricerca. In Svezia, dove il Karolinska Institute ha ammesso che i minori sono stati esposti al rischio di “gravi lesioni” e di “trattamenti errati” e che gli studi non sono sufficienti. In Norvegia e in Finlandia, dove nuove linee guida rilevano rischi come la demineralizzazione ossea e possibili effetti sul sistema nervoso centrale e sulla fertilità. Si frena perfino in Olanda, dove è nato il protocollo, e in Australia, mentre negli Usa migliaia di pediatri hanno fatto causa all’amministrazione Biden che li obbliga a prescrivere questi farmaci, denunciando una “medicina sperimentale che mette a rischio i pazienti”. In Italia la Società italiana di pediatria parla invece di “dimostrata completa reversibilità dei sospensori puberali” (Repubblica ieri ha titolato “lite sui ragazzi che cambiano sesso”, seppure si tratti di un dibattito in corso e non di lite, ndr), fatto smentito da vari studi come quello pubblicato dal British Medical Journal secondo il quale i bambini trattati sperimentano “una crescita ridotta dell’altezza e della forza ossea”. In Italia l’uso off-label di triptorelina come bloccante della pubertà ha ottenuto nel 2018 l’ok del Comitato per la bioetica del governo (un solo voto contro, quello di Assuntina Morresi). Non è noto il numero di minori in trattamento “affermativo”, ma alcuni dati dall’estero possono dare l’idea: in Catalogna il numero di bambine diagnosticate disforiche è cresciuto del 5.700 per cento tra 2015 e 2021, in linea con il Regno Unito dove nel 2018 la ministra dell’Uguaglianza Penny Mordaunt segnalava una crescita del 4.000 per cento in un decennio.

Nella sua lettera anche Thanopulos definisce “sperimentazione” questi trattamenti. “Le diagnosi” spiega al Foglio “spesso non vengono fatte da psicoterapeuti e sono affidate a ciò che raccontano i ragazzi o i loro genitori. I dati a disposizione non consentono un’attenta valutazione dei risultati, né è chiaro l’obiettivo da raggiungere. Per questo il trattamento con i blocker è sperimentale, non validato come metodo di cura e poco calcolato nelle sue conseguenze. E spera di risolvere il problema dell’incongruenza di genere portandolo da una posizione di ‘disforia’ incerta a una stabile. Nei fatti impedisce una vera scelta, è un ‘proviamo a vedere che succede’”.

Un argomento dei sostenitori è l’elevato rischio suicidio per questi bambini. “Non esistono dati rigorosi, raccolti attentamente e controllati indipendentemente. Né studi sulla differenza in termini di suicidio tra ragazzi supposti transgender che prendono il farmaco e quelli che non lo prendono. Inoltre non c’è un’interpretazione adeguata della causa del possibile suicidio: è connessa alla ‘disforia’, a depressione o al malessere di vedere il proprio corpo ‘altro da sé’ manifestarsi pienamente? Non si capisce del resto come arrestando la pubertà per un periodo sarà poi meglio vissuta successivamente. Né come si possa raggiungere un’identità di ‘transgender’ o abbandonarla se si inibisce un fondamentale fattore della propria definizione sessuale: l’esplosione sessuale della pubertà. Il trattamento farmacologico non elimina l’incongruenza, l’esito non è un corpo altro da quello con cui si è nati. E con il proprio corpo è meglio imparare a convivere”.

Spesso vi è compresenza di disforia e di disturbi psichici come depressione, disturbi dell’alimentazione o dello spettro autistico. “Per questo c’è bisogno di una diagnosi differenziale, ma pochi se ne occupano. Inoltre il non accordarsi con il proprio corpo non è cosa da niente. Il corpo è importante, non si può sbarazzarsene senza pagare un prezzo, la depressione è sempre in agguato”.

Lei è contrario all’uso di blocker in tutti i casi? “È necessario un dialogo sul piano scientifico. Stiamo parlando del destino di bambini prima che loro siano in grado di definirlo da soli. C’è un problema etico. Spero che l’Aifa e il governo promuovano un dibattito serio”.

Scrivete che “solo una parte minoritaria dei ragazzi che dichiarano di non identificarsi con il loro sesso conferma questa posizione dopo la pubertà”. “Prima della pubertà la maggior parte dei ragazzi non ha un’identità definita. Come si fa a stabilire se un minore è transgender se si inibisce la pubertà? Per la Spi tacere sarebbe un tradimento nei confronti dei suoi principi etici e scientifici e dei cittadini. Anche molti pediatri sono sensibili al problema, ma non hanno strumenti per affrontarlo e le loro associazioni scontano un problema dell’intera medicina: l’allontanamento dalla filosofia e dalla psicologia medica”.

Nella Società psicoanalitica c’è stata molta discussione riguardo a questa lettera? “Si è discusso sul modo di comunicare, adottando termini che non facessero intendere il nostro comunicato come repressivo. Chiediamo che si apra un dibattito in cui ognuno possa avere la possibilità di esprimere in modo paritario la sua posizione”.

Cosa che finora non è stata possibile? “Purtroppo da parte di alcuni medici e di psicologi non formati in psicoterapia e appiattiti sui modelli interventisti c’è una forte spinta al trattamento ormonale e spesso chirurgico. Non escludo che anche alcuni psicoterapeuti si schierino ideologicamente. È un peccato, perché se non modifichi chimicamente o chirurgicamente il corpo, questo corpo ha molte più possibilità di soddisfazione di un corpo manipolato che resterà sempre artificiale”.

Forse questi psicologi temono di essere ostracizzati se non assecondano il mainstream transgender. “C’è una parte del mondo Lgbtq che affronta la questione delle differenze sessuali e di genere in modo politico, tenendo al centro il problema della discriminazione. Il problema nasce se la sacrosanta difesa del diritto a non essere discriminati diventa spinta all’omologazione, alla costruzione di definizioni nominali che si pretende di proporre come legalmente equivalenti. Sul piano dei diritti e delle possibilità siamo pari, ma non equivalenti. Una donna nel corpo di un uomo e una donna nel corpo di una donna sono cose differenti. Nel campo dell’amore e dell’erotismo ci deve essere libertà, non è un territorio giuridico”.

La sensazione è che l’ideologia transgender sia spinta fortissimamente: da chi e perché? “Non dai transgender, credo, che vorrebbero solo essere riconosciuti e non disprezzati. Piuttosto, in un mondo in cui i giovani si sentono molto precari c’è una tendenza contagiosa a rappresentarsi come trans anche in segno di ribellione. Il problema è che la tendenza trans fa mercato economico, politico, culturale. E il rischio è che questo accada anche con la reazione anti-trans”.

Per i giovani la fluidità sessuale è un dato acquisito, lo dimostra la lotta per la “carriera alias” nelle scuole. “In ognuno di noi ci sono la donna e l’uomo, l’eterosessuale e l’omosessuale. La definizione in un senso o in un altro consente di evitare la dispersione degli investimenti erotici. Non c’è coppia di amanti senza un terzo potenziale che la potrebbe mettere in crisi. La libertà non sta nelle formule – binario, non binario – ma nella complessità delle nostre relazioni. La fluidità ha due aspetti: la bisessualità, che è sempre esistita, e l’indecisione tra sentirsi donna o uomo che in gran parte deriva dalla difficoltà di definirsi in un coinvolgimento erotico profondo. Nelle esperienze d’incontro in superficie ci sentiamo più al sicuro. La fluidità è la riserva nei confronti di un impegno nel rapporto con l’altro, sentito come foriero di delusione e di dolore. È un disimpegno, una forma di immobilità”.

Un consiglio per i genitori di bambine/i che non si riconoscono nel sesso di nascita. “Non contrastare né assecondare. Ascoltare il disagio, ma anche le fantasie e i pensieri. Non trattare i figli come mostri né come eroi. Non prendere una strada ideologica e dare ai figli il tempo di maturare una scelta. Può essere utile il dialogo con uno psicoterapeuta che non miri a una ‘guarigione’ ma all’elaborazione di un modo di stare nella vita che può prendere una strada piuttosto che un’altra”.


(Il Foglio Quotidiano, 20 gennaio 2023)

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