21 Gennaio 2024
La Stampa

Femminicidio: un nome nuovo per un orrendo crimine millenario

di Annarosa Buttarelli*


Circola da qualche tempo un appello che richiede firme a sostegno della denuncia di “femminicidio di massa” avvenuto il 7 ottobre scorso ad opera di Hamas, in Israele. Ci mancava anche questo appello tra gli altri che stanno dilaniando l’ormai variegata frammentazione interna al femminismo italiano. Ci sono donne, come quelle firmatarie dell’appello che, senza se e senza ma, sostengono, anche senza intenzione precisa, la causa complessiva dello Stato israeliano. Ci sono donne che ricusano l’appello perché non cita anche le stragi di donne e di bambini in quel che rimane della Palestina, ma soprattutto queste stesse fanno opposizione all’appello perché usa la formulazione “femminicidio” per le donne vittime nel kibbutz. Dobbiamo parlarne, sia perché esiste una posizione diversa dalle due descritte, sia perché si tratta non solo di definire meglio quello che è accaduto, ma perché è esatta la parola “femminicidio”, in ogni caso.

Questa intensa parola si è diffusa in Europa soltanto a partire dai primi anni del XXI secolo grazie da un lato alla divulgazione a livello mondiale dei gravi fatti di Ciudad Juárez, la città messicana divenuta dal 1993 teatro di innumerevoli sparizioni e uccisioni di donne, e dallaltro grazie alle lotte e alle proteste dei movimenti femministi, specialmente di quelli latino-americani, contro queste pratiche. Femminicidio è poi stato accolto in Europa come la parola adatta a indicare luccisione di donne in quanto donne. Una parola nuova per un crimine millenario orrendo. Per questo motivo sostengo la pertinenza di questa parola anche al disprezzo dei corpi femminili, alle mutilazioni, agli stupri a cui segue molto spesso l’uccisione di una donna in quanto donna, anche in guerra. Per questo motivo i femminicidi, pure se rientrano nella cornice oscena di una guerra, non possono essere mescolati, confusi, sovrapposti agli omicidi, alle stragi generali, agli infanticidi, all’uccisione di donne che si trovano sotto le bombe nel luogo della strage generale. Non si può nemmeno definire quello che è accaduto nel kibbutz israeliano o a quello che è seguito sul corpo delle donne ebree uccise come “femminicidio di massa” perché non lo è stato, e perché è stato progettato per un’area determinata. Questo esercizio di discernimento è legittimo e utile perché può portarci ad un altro esercizio necessario: quello della memoria.

Da che c’è un mondo conosciuto attraverso varietà di fonti, lo stupro e l’uccisione delle donne in quanto donne è sempre stato una delle prassi ordinarie del modo maschile di fare la guerra. Quella donna che, il 7 ottobre, urla e invoca aiuto dal mezzo di trasporto dei guerriglieri di Hamas non ha forse rievocato il rapimento di donne più famoso: il ratto delle Sabine? E che trattamento pensiamo sia stato fatto alle Sabine dopo il ratto? Lo stupro di guerra (dall’Oriente all’Occidente) è una pratica consueta dei conflitti armati da sempre, programmata come nessun’altra azione militare. La storica Joanna Bourke nel libro, Stupro. Storia della violenza sessuale (Laterza) scrive che sempre gli stupri degli eserciti sono stati incoraggiati, legittimati o tollerati da precisi ordini militari impartiti dai comandi o da permessi dei superiori. Questo ci obbliga a diffondere con tutti i mezzi la consapevolezza che lo stupro durante le guerre non può e non deve essere considerato come inevitabile, quasi fosse un corollario automatico nel rapporto con chi è considerato un nemico. E, aggiungo, occorre rilanciare nel dibattito l’esistenza della “questione maschile” che perdura nel presente, evitando di inserire lo stupro e l’uccisione di donne nel mucchio indistinto delle violenze sui civili, prescindendo dal preciso obiettivo presente in ogni guerra. Sarebbe un errore di pensiero. Allo stesso modo sottolineo che, da parte mia, non è un errore unire stupro e uccisione di donne, perché chi tra noi se la sentirebbe di estrapolare lo stupro dal femminicidio quando esperiamo ogni giorno l’unità psicofisica nel momento in cui si subisce violenza? Femminicidio è un esatto nome nuovo per un orrore millenario.


(“Lo Specchio” de La Stampa, 21 gennaio 2024)


(*) Buttarelli, Direttrice Scientifica della Scuola di Alta Formazione Donne di Governo

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