5 Ottobre 2021
la Repubblica

Frances Haugen, ecco chi è la “whistleblower” di Facebook: «Così l’odio crea profitti»

di Raffaella Menichini


Ore di blackout in tutto il mondo per la galassia Facebook: il social network è risultato irraggiungibile per centinaia di migliaia di utenti intorno alle 17,50 di ieri sera ora italiana [il 4 ottobre, NdR] mentre contemporaneamente si bloccavano gli accessi al servizio di messaggistica WhatsApp, a Instagram, a Messenger e persino alla app di realtà virtuale Oculus, anch’essa di proprietà dell’azienda di Mark Zuckerberg. Anche i siti interni di Facebook, accessibili ai dipendenti, sono stati oscurati.

«Siamo consapevoli che alcune persone stanno avendo problemi ad accedere alla app di Facebook. Stiamo lavorando per far tornare le cose alla normalità al più presto e ci scusiamo per qualsiasi inconveniente», ha fatto sapere Facebook su Twitter – il social concorrente che è stato ieri sera il principale canale di comunicazione proprio per capire cosa stesse succedendo nel regno di Zuckerberg. Non è chiaro che tipo di problema tecnico si sia verificato, se si sia trattato o meno di un attacco esterno coordinato: secondo il sito Downdetector.com, che traccia le interruzioni del servizio da parte delle applicazioni e dei siti di telecomunicazione, le segnalazioni erano nell’ordine di oltre duecentomila, concentrate nelle grandi metropoli come Washington e Parigi. Ma il blocco potrebbe essere stato molto più massiccio. E nelle stesse ore, a Wall Street, le azioni di Facebook arrivavano a perdere quasi il 6%.

La coincidenza con un blackout di popolarità e di stabilità finanziaria non potrebbe però essere più clamoroso. La piattaforma sta infatti attraversando la sua più profonda crisi reputazionale dai tempi dello scandalo della “fuga di dati” di Cambridge Analytica, all’indomani delle presidenziali americane del 2016. Proprio domenica sera sulla CBS è andata in onda un’intervista esplosiva a Frances Haugen, un’ex dipendente del social di Zuckerberg che prima di dimettersi da Facebook, nell’aprile scorso, ha raccolto migliaia di pagine di documenti riservati, consegnandoli ai membri del Congresso e alla stampa. Trentasette anni, originaria dell’Iowa, con laurea in ingegneria informatica e un master ad Harvard, Haugen è dunque la “whistleblower”, la fonte segreta dell’inchiesta “Facebook Files” con cui il Wall Street Journal ha messo sotto i riflettori le storture del social di Zuckerberg. L’inchiesta ha rivelato come Facebook avvantaggi gli utenti più potenti e i politici nella moderazione dei loro contenuti; come i dirigenti della piattaforma siano stati “scudati” dalle denunce penali; e soprattutto come le ricerche interne di Facebook avessero lanciato forti allarmi sugli effetti che Instagram possa avere sulla psiche dei giovanissimi e in particolare delle ragazzine. Ricerche e allarmi rimasti inascoltati. Davanti alle telecamere del programma 60 Minutes della CBS , la giovane donna ha dimostrato con lucidità e parole semplici i motivi per cui – dati alla mano – Facebook ha messo in moto un meccanismo di disinformazione, polarizzazione dell’opinione pubblica, influenza negativa sui più giovani. E perché è necessario che si attui una forma di regolamentazione nei confronti delle aziende di Mark Zuckerberg. Oggi andrà a testimoniare al Congresso Usa, tra qualche settimana parlerà anche di fronte al Parlamento britannico e dice di essere in contatto con parlamentari francesi e con l’Europarlamento. «Quello che ho visto ripetersi a Facebook è il conflitto di interessi tra quel che è bene per il pubblico e quel che è bene per Facebook. E Facebook, più e più volte, ha fatto scelte basate sui propri interessi». Facebook «ha privilegiato la crescita rispetto alla sicurezza». Haugen non ha agito spinta da odio o da vendetta, ha tenuto a precisare: si era unita a Facebook «dopo aver perso una persona cara a causa del complottismo» e pensava di poter contribuire a combattere la disinformazione. Quel che ha visto dall’interno l’ha convinta a denunciare. Ma sa che dentro Facebook c’è ancora molta gente in buona fede: «Insieme possiamo creare un social media che tiri fuori il meglio di noi».


(la Repubblica, 5 ottobre 2021)

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