La distruzione a Gaza procede inesorabile e avviene qualcosa di irreversibile: l’esercito israeliano sta per mandare in fumo quanto resta del patrimonio archeologico di Gaza e con esso le radici della cultura mediterranea tra Oriente e Occidente. Leggiamo nel sito del progetto Gazahistoire. Inventaire d’un patrimoine bombardé che dopo quasi due anni di devastazioni sistematiche siamo giunti al cuore del patrimonio archeologico di Gaza, raccolto durante venticinque anni dagli specialisti francesi e palestinesi. Sono state concesse poche ore per sgomberare la sede della scuola biblica e archeologica a Gaza: «Distruzione annunciata del deposito archeologico della École biblique et archéologique française a Gaza». Così l’archeologo francese René Elter, da anni responsabile degli scavi a Gaza, ha diramato una nota secondo cui l’esercito israeliano ha avvisato ieri mattina di voler procedere dopo mezz’ora al bombardamento del sito. Grazie all’intervento del Patriarcato di Gerusalemme l’esercito ha poi concesso una mezza giornata per mettere in salvo il patrimonio plurimillenario di Gaza, cioè 180 metri quadri di opere. Trasferire questo deposito richiederebbe almeno dieci giorni. L’esercito israeliano impone agli archeologi e a tutti noi di assistere in diretta alla polverizzazione della cultura materiale ed etnologica di una civiltà millenaria alle origini della nostra.
Ci si chiede se l’ardua sentenza di genocidio spetti agli storici o ai contemporanei. Certamente spetta ai contemporanei ribellarsi a tanta indifferenza o disprezzo o voluta negazione nei confronti del patrimonio comune dell’umanità. Cosa diranno gli storici di questa distruzione intenzionale? Forse l’attribuiranno al messianismo che investe solo nell’archeologia che avvalorerebbe il sentimento nazionalista, mentre nega l’evidenza che le radici del luogo non sono disgiunte ma intrecciate. O si rifaranno alla spiegazione di Primo Levi, secondo cui gli esseri umani non sono tanto violenti quanto eccessivamente obbedienti, «eseguono gli ordini».
Ignorare il presente, cancellare un capitolo di storia del Mediterraneo è la propaganda di guerra del presente. La distruzione dei reperti archeologici è la violenza irreversibile contro molti popoli che riempirà il vuoto nella coscienza del futuro.
(*) Giovanna Cifoletti, directrice d’études à l’EHESS – Centre Alexandre Koyré, Parigi
(il manifesto, 12 settembre 2025)

