10 Settembre 2019
il manifesto

Geneviève Fraisse, genealogia e sovversione

di Alessandra Pigliaru


«Il mio materiale di lavoro è la storia, passata e presente. Perché cerco sempre di estrarre il concetto, la formulazione intelligibile». Filosofa e storica del pensiero femminista, Geneviève Fraisse attualmente è direttrice di ricerca presso il Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi. Appena concluso il soggiorno mantovano nell’ambito del Festivaletteratura, oggi alle ore 18 sarà a Roma alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea per un incontro dedicato a un testo di eccezionale rigore scientifico e politico, La sexuation du monde. Uscito in Francia nel 2016 è ora finalmente tradotto da Nottetempo per le cure di Annarosa Buttarelli (insieme a Elettra Stimilli in dialogo oggi alla Gnam con Fraisse), con una preziosa postfazione di Luisa Muraro. Il mondo è sessuato (pp. 252, euro 19) si colloca nell’ampio lavoro, di attivista e teorica, che Geneviève Fraisse porta avanti dagli anni Settanta depositato in interventi e monografie cruciali tra cui spiccano Muse de la raison (1989), La différence des sexes (tradotto da Bollati Boringhieri nel 1996), Les deux gouvernements: la famille et la Cité (2000), Les Excès du genre (2014).

In libreria da pochi giorni, il volume della filosofa – che nel 1975 ha fondato insieme a Jacques Rancière la rivista Les Révoltes logiques e ha codiretto il quarto volume della Storia delle donne in Occidente (Laterza, 1991) – interroga con radicalità un presente che riguarda tutte e tutti: come segnala Buttarelli in prefazione, «è solo da qualche decennio che noi donne abbiamo cominciato a passare dall’irrappresentabile e dall’impensato a un fragile auto-riconoscimento». Non ci si può confondere sul fatto che a scriverlo sia stata una femminista, «il partire da sé – specifica Muraro in postfazione – è una tra le prime e più produttive pratiche di parola e scrittura del movimento delle donne».

«Il mondo è sessuato» è un titolo ma anche una “evidenza filosofica” che deve essere assunta nella sua «storicità». Con la Rivoluzione francese lei parla di “democrazia esclusiva”…

Il libro suggerisce che dobbiamo leggere il mondo con l’evidenza che i sessi fanno la storia, che scrivono la storia. «Il mondo è sessuato» significa semplicemente dire che le donne non sono una variabile più o meno aneddotica, come un colore aggiunto al divenire storico. Pertanto, non è un’antropologia, bensì una definizione della differenza sessuale. Si tratta di comprendere la costruzione del mondo attraverso questa differenza.

Faccio due esempi, uno storico e l’altro contemporaneo. Il primo è che la Rivoluzione francese utilizza il pensiero del contratto sociale per sostituire l’ordine monarchico, vuole pensare agli esseri umani come simili ma inciampa sulla questione dei sessi. “Democrazia esclusiva” (si veda il libro Muse de la raison) è un’espressione che afferma sia la partecipazione delle donne in una società di uguali, sia al contempo la loro esclusione dalla costruzione dell’eguaglianza concreta. La democrazia contemporanea non è escludente come nell’antichità; le donne non sono fuori dalla città, ma sono escluse dall’interno dal moderno contratto sociale. Il mio secondo esempio parte dal tentativo contemporaneo di rendere invisibili alcuni dati sociali, di “asessuarli”: la “ragazza-madre” della mia infanzia, la madre nubile, è diventata una “famiglia monoparentale”; quindi si rimuove lo stigma sociale ma si costruisce un neutro che cancella una situazione politica (ovvero che l’80% di queste famiglie sono fatte di donne). La “sessuazione del mondo” non dà una definizione dei sessi, vuole mostrare un funzionamento.

Affronta il tema delle contraddizioni interne all’emancipazione e del rapporto di dominio, questa lei osserva sia la questione dei sessi e non quella della complementarietà…

L’emancipazione delle donne è stata costruita in presenza di due ostacoli: il primo deriva dall’impossibilità di accettare che la differenza dei sessi possa essere combinata con l’uguaglianza; da qui la prima contraddizione che è complicata dall’eventuale legame con altre categorie di razza, classe, oppressione ed esclusione. L’intersezionalità di oggi crede di essere in grado di far “convergere” le lotte in un insieme. Non è così semplice: per quanto teoricamente sia possibile pensare alle “altre” in una comune condizione di dominio, fintanto che la strategia delle lotte le separerà, arriveranno persino a contrapporsi.

Da qui il secondo ostacolo, quello del contretemps (contro-tempo/contrattempo): la storia degli ultimi due secoli è fatta di ingiunzioni rivolte alle femministe per convincerle a rallentare la loro dinamica: sei in ritardo, non sei abbastanza istruita o, al contrario, sei in anticipo, unisciti al processo rivoluzionario; aspettiamo il giorno dopo la Rivoluzione e ci occuperemo dell’uguaglianza dei sessi. Contraddizioni e intoppi devono essere riconosciuti per essere combattuti.

L’argomentazione ugualitaria, secondo lei, somiglia alla fatica di Sisifo. È uno sforzo che non produce alcun esito oppure una condanna?

Mi piace dire che sono “una” Sisifa, sempre pronta a ricominciare il lavoro di costruzione dell’emancipazione. Non solo perché l’uguaglianza dei sessi sembra sempre così distante, ma perché il “ritornello”, la ripetizione degli stessi argomenti contro questa uguaglianza, indica una vera domanda filosofica: i sessi sono tenuti fuori dalla storia, la loro relazione è senza tempo («sempre», dicono). Ma la mia proposta di leggere la sessuazione del mondo è proprio quella di distruggere questa atemporalità; perché esiste la possibilità di sovversione. È la storicità che deve essere contrastata, con le parole “genealogia” e “provenienza”, ma anche con il verbo “divenire”.

I contemporanei “stereotipi” ricordano la discussione del XVII secolo intorno al pregiudizio, di cui individua il nodo a partire dalla riflessione di Poulain de La Barre, proseguendo con Rousseau e Rancière. Quali sono le comunanze e le trappole tra “moderno” pregiudizio e “contemporaneo” stereotipo?

Dopo due secoli di conquista dei diritti, quello attuale si è aperto sull’osservazione che il dato formale, le leggi, non fanno il reale, non si realizzano meccanicamente in questo reale. Quindi si impone l’idea che sia necessario combattere le immagini, dette stereotipi, decostruirne il significato per distruggerle e quindi creare l’emancipazione.

Due osservazioni: è più efficace decostruire (nel gioco, piuttosto antiquato ai miei occhi, dell’opposizione tra natura e cultura) o enfatizzare il processo dell’emancipazione, che non è mai scevro da tracce di dominio? Personalmente ho scelto chiaramente questo percorso. La seconda osservazione riguarda la terminologia: la parola “stereotipo” si riferisce a un pensiero dell’invariante (antropologica), che le conferisce un’importanza indeterminata: da parte mia, ho proposto, in Les Excès du genre, di parlare di cliché; è un termine preso in prestito dalla fotografia, dice meno il contenuto di un’immagine che la sua ripetizione, la sua molteplicità. È l’insistenza dell’immagine negativa delle donne a essere problematica. E qui ritroviamo questa parola del XVII secolo, quella del “pregiudizio”, cara al filosofo Poulain de La Barre. La conclusione s’impone: la sovversione è meglio della decostruzione.

Nella seconda parte del volume riprende il concetto di musa. In che modo l’oggetto artistico astratto diventa soggetto singolare di enunciazione, per esempio nell’atto di scolpire di cui lei porta numerosi esempi?

Propongo di «deregolare» le rappresentazioni, di sistemarsi nella tradizione per trasformarla. “Deregolare” può stabilire nuove regole, si vede in particolare nella storia dell’arte con la fine della musa, l’appropriazione del corpo delle donne nella loro nudità, la distruzione del rapporto tra nudità delle donne e allegoria della verità, ecc. È una scelta filosofica e politica: preferisco cambiare le regole secondo le regole invece che denunciare norme che potrebbero lasciare spazio a nuove norme.

Nel movimento di emancipazione degli ultimi due secoli, ho distinto il «per tutte», cittadine e lavoratrici, dal «per ognuna», di artiste e creatrici. Il mio libro La Suite de l’Histoire che esce in Francia questa settimana indica i singoli percorsi, le singolarità che lavoreranno non solo a deregolare le rappresentazioni, ma a interpellare il simbolico maschile. Questo è ciò che chiamo il «passaggio verso l’universale».


(il manifesto, 10 settembre 2019)

Print Friendly, PDF & Email