di Fiorenza Sarzanini
È giusto garantire ai figli di trascorrere lo stesso tempo con il padre e la madre che hanno deciso di lasciarsi. Bisogna tuttavia fare i conti con la realtà e spesso, anche quando i rapporti tra ex coniugi non sono conflittuali, ci sono motivi pratici che rendono preferibile un’alternanza meno rigida di quella che impone ai minori di vivere due settimane in una casa e due settimane in un’altra.
Il bene primario per chi ha già vissuto il trauma della separazione dei genitori è quello di non essere trattato come un pacco, che viene spostato e consegnato come un oggetto. Il disegno di legge firmato dal senatore leghista Simone Pillon sull’affido condiviso sembra non tenere conto della vita quotidiana e delle esigenze dei bambini e delle bambine, delle ragazze e dei ragazzi, che sono legate alla scuola, alle attività pomeridiane, ai rapporti con amici e parenti. Soprattutto non concede la giusta attenzione a realtà complesse — talvolta violente — che non possono essere risolte con una mediazione familiare, messa invece da Pillon al centro del provvedimento. Il senatore è avvocato, ma anche mediatore familiare, come risulta dal curriculum che ha consegnato a Palazzo Madama subito dopo la sua elezione. È dunque comprensibile che voglia aiutare la categoria ad avere un ruolo primario. Ma prevedere per legge l’obbligo di rivolgersi a questi specialisti è sbagliato per svariati motivi — in alcuni casi addirittura vietato. La Convenzione di Istanbul sulla lotta alla violenza domestica impedisce che si possa ricorrere alla mediazione, così come alla conciliazione. In ogni caso si tratta di un percorso che aumenta le spese (visto che il gratuito patrocinio non è previsto), allunga i tempi ed elimina la discrezionalità del giudice che dovrà poi decidere, nell’interesse del minore, quali debbano essere le condizioni di vita con il padre e la madre. Altro punto critico del ddl riguarda l’assegno di mantenimento che viene abolito, evidentemente nella convinzione che sia in realtà uno stipendio all’ex moglie. Al di là delle considerazioni sulla disoccupazione femminile e sul fatto che molte donne non lavorano o lavorano meno proprio per occuparsi dei figli, in questo modo si ottiene come unico risultato quello di creare una disparità di trattamento da parte di uno o dell’altro genitore. Questo aspetto si rivela particolarmente critico se le disponibilità economiche sono differenti e dunque il padre o la madre potrebbero non essere in grado di garantire ciò che l’altro «regala». Con il rischio forte di alimentare ulteriormente la conflittualità tra loro e con i più piccoli, che rappresentano invece il punto di vista da cui ripartire quando i genitori si separano.
(Corriere della sera, 11 ottobre 2018)