8 Ottobre 2021
Il Quotidiano del Sud

Giustizia per i vivi e per i morti

di Franca Fortunato


3 ottobre 2013 – 2 ottobre 2018: due date, due facce della stessa medaglia, quella di un’Italia e di un’Europa che hanno trasformato il Mediterraneo in un cimitero e l’accoglienza di quell’umanità dolente e incolpevole che riesce ad arrivare sulle nostre coste in cieca obbedienza a leggi ingiuste e disumane.

3 ottobre, anniversario del naufragio di 523 profughi, di cui 155 sopravvissuti e 368, donne, uomini, bambine/i, lasciati deliberatamente annegare a poche miglia da Lampedusa, sul cui molo in quel 2013 abbiamo visto allineate le bare con i loro corpi senza nome, recuperati e rinchiusi in sacchi neri.

2 ottobre 2018, Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, viene rinviato a giudizio e posto agli arresti domiciliari. Inizia il calvario della sua vicenda giudiziaria, chiusa, in primo grado, con la condanna a 16 anni e due mesi di reclusione per associazione a delinquere finalizzata al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, truffa, peculato, falso ideologico e abuso d’ufficio. Interdizione per cinque anni dai pubblici uffici e restituzione di 700mila euro. Una condanna severa, ingiusta, che ha trasformato in reati «errori amministrativi, commessi a fin di bene» e un agire non contro ma «sopra la legge». Ha infangato un’esperienza di accoglienza, riconosciuta come modello in tutto il mondo. Quella notte del 3 ottobre in mezzo al mare, su un’imbarcazione col motore fermo, una massa di esseri umani stava per naufragare quando sopraggiunsero due imbarcazioni, un peschereccio e un’altra, mai identificata, forse perché della Guardia costiera. Gridavano, chiedevano aiuto ma, come hanno raccontato i superstiti, dopo averli illuminati con i fari e girato per alcuni minuti intorno al barcone, si sono allontanate, lasciandoli annegare. Per il reato di mancato soccorso il capitano del peschereccio e i suoi uomini, il 9 dicembre scorso, sono stati condannati, in primo grado, a sei e quattro anni di reclusione. Quello non fu il primo grande naufragio e neppure l’ultimo. Il primo accadde nella notte di Natale del 1996. Oltre trecento giovani pakistani e indiani annegarono, dopo che il barcone sul quale viaggiavano si era ribaltato. Una trentina i sopravvissuti, scaricati dai trafficanti su una spiaggia greca. Dopo alcuni giorni dal naufragio, i resti di alcuni cadaveri erano riaffiorati, rimasti impigliati nelle reti dei pescatori. Alcuni avevano ancora i documenti in tasca che avrebbero permesso la loro identificazione, la restituzione dei corpi alle famiglie e una degna sepoltura. Ma per paura di vedere fermata la loro attività a seguito delle indagini che ne sarebbero seguite, i pescatori, senza alcuna pietà verso i morti, rigettarono in mare i cadaveri. Anche quel 3 ottobre 2013 i pescatori se ne andarono per scaricare il pesce fresco nel porto. Nell’isola di Samo il 18 settembre scorso, alla presenza delle autorità di Atene e di Bruxelles, è stato inaugurato un nuovo centro per rifugiati. Doppia parete di filo spinato, torrette di sorveglianza, migliaia di telecamere, scanner a raggi X, porte magnetiche, tornelli. Sembra un carcere, ma è stato definito «un grandioso progetto all’avanguardia per l’accoglienza europea». Questa idea criminale di “accoglienza” non è nuova per un’Europa senz’anima e dà senso alla condanna a Mimmo Lucano. Riace, “paese dell’accoglienza”, resta un’esperienza, una realtà, che nessuna sentenza potrà cancellare dalla memoria collettiva e dalla vita di chi l’ha vissuta e resa possibile. Quella Riace merita e grida giustizia per Lucano.


(Il Quotidiano del Sud, 8 ottobre 2021)

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