15 Ottobre 2021
Il Quotidiano del Sud

Guardando “A Chiara”, il film Di Jonas Carpignano

di Franca Fortunato


Guardando A Chiara, il film del giovane regista italoamericano Jonas Carpignano, premiato al festival di Cannes e girato, come i suoi due precedenti Mediterranea e A Ciambra, a Gioia Tauro, dove vive da tempo, ho provato una grande gioia per come il regista, attraverso la protagonista, porta sullo schermo una generazione di adolescenti, eredi di quella rivoluzione simbolica che va sotto il nome di libertà femminile che da anni sta minando alle fondamenta la ’ndrangheta, che ha fatto dei legami di sangue la sua forza. Chiara è una adolescente come tante, frequenta la scuola, va in palestra, fuma di nascosto dai genitori, usa il cellulare, va in giro con le amiche, ha una vita serena, gioiosa, circondata dall’amore della madre, delle sorelle e di quel padre di cui ben presto scoprirà di non sapere chi sia veramente. È cresciuta idealizzando il padre, uomo mite e amorevole, e quando scopre che è un affiliato alla ’ndrangheta, un trafficante di droga, vede crollare tutto il suo mondo, ma non si farà seppellire dalle sue macerie. Una scoperta che cambierà la sua vita per sempre, spezzerà la sua adolescenza ma le aprirà la strada della consapevolezza e coscienza di sé, costringendola a fare i conti fino in fondo con quel mondo, in cui inconsapevolmente è cresciuta. Lungo il suo percorso a sostenerla non c’è nessuna donna, non c’è la madre né la sorella maggiore, che complici del padre le nascondono la verità per “proteggerla”, non c’è un’insegnante o un’amica. Sembra una ragazza sola col suo coraggio, ma non lo è in quanto figlia di quella generazione di donne, madri, figlie, sorelle, che, per amore di sé e delle/i proprie/i figlie/i, si sono ribellate a un destino deciso dagli uomini della “famiglia”, pagando alcune anche con la vita. Donne come Anna Maria Cacciola e Giuseppina Pesce, evocate nel film, al padre latitante che le dice “da adesso in poi quello che fai tu lo decide solo tuo padre”, l’autorizzano a rispondere in tono deciso “da adesso in poi quello che faccio lo decido io”.

È da quelle donne che trae la forza e il coraggio di cercare la verità, la felicità, la libertà, la gioia, in un continuum madre-figlia. La Calabria che viene fuori dal film è la Calabria di oggi, una terra che è cambiata perché sono cambiate le donne, le giovani generazioni che nel 2005 manifestavano a Locri contro la ’ndrangheta, portando in piazza il loro desiderio di una vita libera dalla paura e dalla violenza. Allora, guardando quella manifestazione mi chiesi se, in quella marea di ragazze gioiose e consapevoli di sé, ci fossero anche le figlie dei mafiosi, insieme alle loro compagne di scuola. Chiara frequenta una di quelle scuole e lei, con la sua consapevolezza di non voler vivere in un mondo fatto di menzogne, paura e violenza, oggi mi porta a dire sì, c’erano anche le figlie dei mafiosi in quella piazza e lei da lì può chiedere al padre: “Ti piace davvero vivere così, nascosto dal mondo?” Chiara percorre la sua strada con coraggio, determinazione, tenacia, fino alla decisione finale che affida solo a se stessa. È per questo che fugge quando, evocando il magistrato Di Bella a cui le madri affidano le/i figlie/i per allontanarle/i dalla famiglia mafiosa, viene affidata a una casa famiglia del nord. Il film si apre e si chiude con i festeggiamenti di un compleanno per i 18 anni, ma tra i due c’è Chiara che ha deciso cosa farne della sua vita e questo ci consegna due scene molto diverse. Un film veramente bello, realista, che fa riflettere anche quando alle parole si sostituiscono lunghi silenzi.


(Il Quotidiano del Sud, 15 ottobre 2021)

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