2 Aprile 2021
Corriere della Sera

Il caso Coyaud e quei rischi (giudiziari) se critichi i ciarlatani

di Carlo Rovelli

La giornalista francese è da poco finita a processo perché smascherava la pseudoscienza. Non possiamo permettere che chi fa soldi vendendo acqua fresca si appelli alla libertà di parola e poi usi la giustizia per far tacere chi contesta

In uno Stato di diritto, le sentenze si rispettano e si applicano. Anche se non ne condividiamo le motivazioni. Ci sono però situazioni in cui i giudici, in buona fede, commettono errori, e questi errori, accumulati, diventano nocivi per la società. In questo caso, penso sia bene parlarne. Sono seriamente preoccupato per un trend in questa direzione. Pseudo-scienza, pseudo-medicina, e ciarlatani di vari tipi si stanno diffondendo in Italia, perfino all’interno delle nostre università, usando una strategia aggressiva: denunciare chiunque li critichi alla magistratura per diffamazione o calunnia.

La strategia è efficace. La paura di restare invischiati in lunghi processi e l’incertezza del giudizio dissuadono persone competenti dal criticare i ciarlatani. Per paura di essere denunciati, i più tacciono. Molti hanno paura perfino di testimoniare in un processo, per timore di essere denunciati a loro volta. I ciarlatani crescono e si rafforzano. Ogni condanna o anche solo rinvio a giudizio per diffamazione di un giornalista, scienziato, o blogger, che ha criticato, magari in maniera mordente, pseudo-scienza o pseudo-medicina viene utilizzata dai ciarlatani come approvazione istituzionale di una ciarlataneria. La gente è confusa. Finisce per fare cose come spendere cifre ingenti per cure inefficaci e sciocche, invece di curarsi veramente. Per fare un esempio nel campo di mia competenza più specifica, la fisica quantistica, i miei colleghi e io siamo tutti disgustati dalla crescente diffusione dell’uso ciarlatanesco di tante cure mediche «quantistiche». Ma molti preferiscono tacere. Non parlo in astratto. L’occasione di questo pezzo è il recente rinvio a giudizio di una ottima giornalista che da tempo si occupa di criticare ovvia pseudo-scienza con grande competenza e in maniera ampiamente documentata: Sylvie Coyaud. Prima di scrivere questo articolo ho esitato, per timore di finire anch’io citato per diffamazione.

Voglio essere chiaro. Voglio vivere in una società in cui chiunque possa curarsi come vuole. Voglio anche vivere in una società in cui chi inventa cure miracolose sia libero di sbandierarle e venderle agli allocchi. Ma voglio anche vivere in una società in cui se qualcuno vende ciarlatanerie miracolose, altri possano criticarlo, con le parole forti necessarie, senza dover temere la magistratura. Non possiamo permettere che i ciarlatani si appellino alla libertà di parola per fare soldi vendendo acqua fresca, e poi però usino il sistema giudiziario per mettere a tacere chi li critica. Purtroppo questo sta avvenendo in Italia. Ci sono alcuni giornalisti coraggiosi, alcune persone di cultura, alcuni blogger, che hanno il coraggio di denunciare questi fenomeni deleteri. Ci sono voci nell’università, anche fra gli studenti, che si sono alzate in questo senso. Vanno difese, non messe in difficoltà. Ci sono giudici che si rendono conto della situazione, e non cadono nella trappola di punire chi fa un servizio civile essenziale. Ma troppo spesso avviene il contrario.

Mi rivolgo per questo a tutti i giudici, di cui ovviamente non metto neppure per un attimo in dubbio la buona fede. È per loro che scrivo questo articolo. Rinviare a giudizio o condannare per diffamazione un giornalista, uno scienziato, o un cittadino che ha il coraggio di denunciare pubblicamente una delle tante pseudo-medicine o pseudo-scienze che dilagano ha effetti devastanti per la società. È diventare inconsapevolmente complici di un sistematico raggiro, difeso con metodi mafiosi: spaventando le voci critiche. Mi rendo conto della posizione difficile di un giudice, che per la sua formazione culturale è spesso nella posizione di non sapere giudicare il merito di una accusa di inconsistenza scientifica. La soluzione, credo, non è giudicare il merito scientifico.

Il dibattito sulla consistenza o meno di un’idea medica o scientifica non deve essere risolto in un’aula di tribunale. Deve essere pubblico, e libero. Io non posso denunciare un ciarlatano perché dice ciarlatanerie (ahimè, quanto lo vorrei!); ma lui non deve pensare di poter denunciare me se io dico pubblicamente che lui è un ciarlatano per la palese inconsistenza delle frottole che racconta. Altrimenti come fa la società a difendersi dai ciarlatani? Cari giudici, per favore fate attenzione: ogni rinvio a giudizio o condanna per diffamazione da parte di un tribunale italiano contro chi denuncia la pseudo-scienza è una coltellata contro la verità, un’arma data in mano a quelle che sono di fatto associazioni a delinquere. Non sta al giudice giudicare se una cura è efficace o meno, e proprio per questo non dobbiamo lasciare che i ciarlatani usino la magistratura per difendersi dalle critiche, anche se queste critiche sono, come devono essere, mordenti.

Ma mi rivolgo anche all’intero corpo docente universitario italiano, ai rettori, ai presidi, ai direttori di dipartimenti. L’università italiana si sta facendo contaminare dalla pseudo-scienza. Basta andare online e cercare pseudo-scienza nelle università italiane, per avere elenchi dettagliati, impressionanti per la dimensione e la diffusione del fenomeno che denunciano. Cartomanti, indovini, rimedi stregoneschi, misteri misteriosi, fenomeni paranormali e altra monnezza. Che orrore. Liberiamoci da questo contagio. Non facciamoci prendere dalla paura. Se per quieto vivere, per evitare di incappare in percorsi giudiziari o polemiche, restiamo in un complice silenzio, stiamo facendo seriamente del male alla salute dei nostri concittadini, alla nostra cultura, alla educazione delle generazioni future. Stiamo mettendo in pericolo la credibilità dell’istituzione che ha il compito morale e civile di essere depositaria dell’affidabilità del sapere della nostra civiltà.

(Corriere della Sera, 2 aprile 2021)

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