15 Aprile 2021
Gazzetta di Modena

Il caso della “e” neutra a Castelfranco, l’esperta: «Rispettare le donne con la lingua che c’è»

di Daniele Montanari


È giusto o no utilizzare la forma neutra della “schwa”, la cosiddetta “e rovesciata”, negli universali maschili per richiamo alla parità di genere? Fa discutere l’idea lanciata dal Comune di Castelfranco, con l’assessore alla Comunicazione Leonardo Pastore, di non utilizzare più nella comunicazione istituzionale ad esempio la parola “tutti”, un plurale universale maschile, ma di sostituire la “i” appunto con la schwa con l’obiettivo di arrivare a un linguaggio “più inclusivo” con il ricorso a una desinenza neutra. «È un passo importante verso una società e una comunità inclusiva, equa e coesa» ha sottolineato Pastore.

Un passo che sembra però troppo forzato alla maggiore esperta del settore: Cecilia Robustelli, professoressa ordinaria di Linguistica Italiana all’Unimore, super specialista sul tema a livello nazionale. Sul linguaggio di genere ha svolto numerosi progetti e corsi di formazione, con incarichi di grande prestigio. Tra gli altri, ha collaborato con la Presidenza del Consiglio, la Camera dei deputati e il Miur come consulente nel gruppo esperti di genere presso la Commissione Nazionale Pari Opportunità. E ha coordinato il gruppo di lavoro nella comunicazione istituzionale, da cui sono uscite le linee guida per il rispetto del genere nel linguaggio istituzionale del Miur. A lei insomma si deve gran parte del cambiamento linguistico di questi anni. Tra l’altro, lei stessa ha coordinato il corso sul linguaggio di genere e la comunicazione istituzionale che la Provincia di Modena nel dicembre 2018 ha proposto al personale delle amministrazioni locali.

«Mi lascia perplessa questa proposta sulla schwa – sottolinea – che è un modo per annullare la differenza tra donne e uomini, per occultare la loro rappresentazione. Quando l’obiettivo deve essere opposto: valorizzare la presenza delle donne anche nel linguaggio. Che è ciò che stabilisce chiaramente la legge regionale 6/2014 laddove nell’articolo 9 chiede di identificare “sia il soggetto femminile che il maschile”. Non di annullarli: se si pensa con l’utilizzo di un simbolo di includere anche la comunità Lgbt (lesbica, gay, bisessuale e transgender, ndr) ci si sbaglia, perché le desinenze grammaticali non indicano il genere ma il sesso: maschio o femmina. Non dicono come sei e ti poni nella società».

L’obiettivo deve essere quello di un linguaggio non discriminante attraverso l’uso della lingua italiana, non con il ricorso a elementi sconosciuti ai più: «Il linguaggio è comunicazione, non sperimentazione di nuovi simboli, che – avverte – può essere pericolosa anche sul piano della comprensione. E poi, cosa accadrebbe nella comunicazione orale? Una sequenza di parole che terminano con una “vocale mutola indistinta”, secondo una definizione di glottologia, sarebbe accettabile? Comprensibile?».

Dunque come fare per non dare a “tutti” una connotazione maschile? «Le modalità da adottare in un discorso sono diverse: è una questione di attenzione e sensibilità. Si può dire all’inizio di un incontro “buonasera a tutte e tutti”, poi non è un problema se la seconda volta dico “siamo felici di avervi qui”: è chiaro che mi riferisco a entrambi i sessi. Nel corso promosso dalla Provincia c’erano tutte le indicazioni utili per scegliere la strategia linguistica più adatta a ogni tipo di comunicazione: sarebbe stato opportuno che il Comune di Castelfranco si fosse confrontato con le iniziative adottate in precedenza».


(Gazzetta di Modena, 15 aprile 2021)

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