13 Gennaio 2023
Avvenire

Il “genius” della donna. Intervista a Luisa Muraro

di Pierluigi Fornari


Ricordiamo il papa Benedetto XVI morto il 31 dicembre 2022 con un’intervista a Luisa Muraro che parla di lui, su Avvenire del 22 aprile 2005

(la redazione del sito Libreria delle donne).


Meno di un anno fa [7 agosto 2004, ndr] una voce autorevole del mondo femminista definì «una novità dirompente» il documento sulla collaborazione tra uomo e donna che portava la firma dell’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger. La femminista era Luisa Muraro, fondatrice della comunità filosofica Diotima, che si caratterizza per il pensiero sulla differenza sessuale. La docente di filosofia, oggi che il cardinale è divenuto Papa, conferma l’apprezzamento che espresse su il Manifesto. «Se il cardinale – immaginava allora la Muraro all’inizio del suo articolo – fosse un mio studente, di molte cose mi piacerebbe ragionare con lui, complimentarmi, interrogarlo, distanziarmi o consentire, a proposito della sua Lettera». «Era un’ipotesi scherzosa», puntualizza.

Perché quella lettera è così importante?

«Prima di essa l’antropologia cristiana non aveva mai messo in evidenza che l’essere umano “sono donne e uomini”. Aveva sempre sottolineato l’unità della persona umana, dando un posto importante, ma secondario, alla differenza sessuale, e cercando poi di spiegare questa differenza con la complementarità tra i sessi. In quella lettera invece si affermava che la differenza sessuale è un tratto costitutivo dell’umanità. Gli esseri umani sono costitutivamente sessuati: donne e uomini».

In che modo?

«L’allora cardinale disegnava la realizzazione degli esseri umani di sesso femminile nei termini di un’umanità non complementare a quella maschile».

Un esempio?

«Sottolineava l’importanza della partecipazione delle donne al governo delle aziende e dei Paesi, in ruoli cioè che la tradizione fino allora, con pieno appoggio del pensiero cristiano e cattolico, aveva assegnato piuttosto alla realizzazione di sé di uomini di sesso maschile».

Lei apprezzò quel n. 14 della lettera, in cui si affermava che la promozione della donna nella società deve essere compresa e voluta come una umanizzazione realizzata attraverso i valori riscoperti grazie alle donne.   
«Si riferiva alle qualità che più storicamente sono state espresse da donne, che si riconducono dunque a una espressione storica, non alla fisiologia, né alla anatomia, né alla maternità. La lettera parlava esplicitamente di una manifestazione di certe qualità storicamente espresse più da donne che da uomini, che possono diventare ricchezza e patrimonio dell’umanità e di cui possono appropriarsi anche gli uomini. Cioè indica il valore universale della differenza femminile. L’umanità infatti nella sua universalità è fatta da donne e fatta da uomini. La quintessenza del pensiero della differenza consiste nel capire che l’umano non viene dal complemento di donne e uomini. L’umano sono le donne e l’umano sono gli uomini. La differenza non va oltrepassata in una superiore unità».

Un altro aspetto che apprezzava nel testo del cardinale era la critica ad una cultura che tende a liberarsi dai limiti biologici.

«A questo proposito citavo Leopardi, che è stato profetico nel prevedere certi cambiamenti della nostra civiltà e sottolineare l’importanza del richiamo alla natura. Che vuol dire tutto ciò? O la natura la vediamo come l’inchiodamento a un destino biologico: la natura come negatrice di libertà. E da questa posizione deriva, naturalmente, la tendenza a oltrepassare i limiti della natura. Oppure la natura, cioè il nostro essere corpo, la nostra comunanza con la realtà naturale, la possiamo leggere umanamente, leggerla nella libertà: accettare questa prossimità che abbiamo con l’umiltà dell’animale, dei bambini, delle persone private dell’intelligenza. Questo è un pensiero che va ripreso. Invece la ricerca della libertà attraverso l’allontanamento dalla natura è una strada molto pericolosa. E lo abbiamo visto».

È un rischio anche cancellare la nostra dipendenza dalla relazione materna?

«Certo, dobbiamo ricordarci che siamo stati messi al mondo da una donna, nel modo in cui la donna partorisce. Quella realtà che sant’Agostino indicava per umiltà con l’espressione “inter feces et urinam” e che noi possiamo designare con la carnalità che ci abita».

Ma c’è una parte del movimento femminista che rifiuta questa carnalità.

«Infatti c’è un conflitto da tempo nel femminismo. Una corrente vuole che non siamo più donne, ma che cogliamo le possibilità indeterminate che le tecnologie e il liberismo ci mettono a disposizione. C’è, invece, un pensiero che si mette in circolo con ciò che è natura, dipendenza, bisogno che abbiamo gli uni degli altri».

Ratzinger si mostrava un alleato prezioso per questa seconda posizione?

«Come la vedo io, sì. Le femministe cattoliche gli hanno fatto delle critiche che io non sto a rinnegare. Ma per me la preoccupazione principale è che la nostra civiltà non vada alla deriva di un artificialismo e di un umanesimo fine a sé stesso».

Quindi il pensiero del nuovo Papa potrà essere d’aiuto?

«È una voce che va ascoltata. Anche la sua critica al relativismo è una cosa che va ascoltata. Nella comunità filosofica Diotima, che ho costituita, abbiamo detto: “su quello siamo d’accordo”. Si può dire tutto e il contrario di tutto? No. La pretesa di poter dire qualcosa di vero deve restare nell’orizzonte delle aspirazioni degli esseri umani. Il bisogno di verità deve rimanere tra le cose che manteniamo. Per me e per le mie compagne filosofe l’obiettivo essenziale non è attaccare la Chiesa cattolica, ma salvare la civiltà umana, in senso globale, non solo quella occidentale, la convivenza, il senso delle nostre vite, della storia umana».

Tutto ciò si può ottenere senza una tensione verso la verità?

«Certo che no».

Con il relativismo ci autodistruggiamo?

«È così».


(Avvenire, 22 aprile 2005)

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