9 Dicembre 2022
il manifesto

Il primo impiccato per rivolta e gli spari per umiliare la bellezza

di Farian Sabahi


Il ventitreenne Mohsen Shekari lavorava in un caffè ed era un amante dei videogiochi. Arrestato durante le proteste, era stato processato il 10 novembre. È stato impiccato ieri mattina. Come d’abitudine in Iran, anche al tempo dello scià, gli è stata estorta una confessione, servita a comminare la pena capitale per il reato di mohabereh, «propaganda contro Dio».

I capi d’accusa sono stati «l’aver bloccato una strada, l’aver partecipato ai disordini, l’aver estratto un’arma con l’intenzione di uccidere e l’aver accoltellato intenzionalmente un paramilitare basiji».

Questa prima impiccagione di un giovane che ha preso parte alle proteste, innescate dalla morte della ventiduenne curda Mahsa Amini il 16 settembre, vuole essere una forma di intimidazione nei confronti di tutti coloro che osano sfidare il regime. Secondo l’ong Iran Human Rights con sede a Oslo, sono almeno 458, di cui 63 minorenni e 29 donne, le persone uccise nella repressione e oltre 18mila quelle arrestate.

L’altro ieri sera, nel terzo giorno di sciopero nazionale e in concomitanza con la giornata iraniana degli studenti universitari, le forze dell’ordine hanno sparato colpi d’arma da fuoco contro il ventunenne Houman Abdollahi nella città nordoccidentale di Sanandaj, nella provincia iraniana del Kurdistan dove le autorità usano la mano pesante contro ogni forma di dissenso.

Secondo il sito IranWire in cui sono operativi numerosi giornalisti della diaspora iraniana, il ragazzo sarebbe stato colpito mentre si trovava nel quartiere Hassan Abad e sarebbe morto nell’ospedale Kosar in seguito alle ferite riportate.

Intanto, nonostante il rallentamento di internet, gli attivisti continuano a comunicare con giornalisti ed emittenti straniere. Gli operatori sanitari in Iran hanno fornito al quotidiano britannico The Guardian le foto delle ferite devastanti sui corpi dei manifestanti.

Un medico della provincia centrale di Isfahan ha raccontato di aver «curato una donna sui vent’anni, che è stata colpita ai genitali da due pallottole. Altri dieci pallini erano nella parte interna della coscia. Questi dieci pallini sono stati rimossi facilmente, ma quei due pallini erano una sfida, perché incastrati tra l’uretra e l’apertura vaginale».

Il medico ha aggiunto che le autorità stanno prendendo di mira uomini e donne in modi diversi «per distruggerne la bellezza». Gli operatori sanitari hanno sottolineato che i colpi agli occhi di donne, uomini e bambini sono particolarmente comuni.

A invitare le forze dell’ordine a sparare in viso pare sia stato Ali Akbar Raefipour, un docente universitario vicino ai pasdaran che ha usato i social media per intimidire coloro che scendono in strada. In un tweet del 6 dicembre scorso aveva scritto: «Se volete perdere la vita, unitevi alle proteste, specialmente se avete un bel viso». Twitter ha bloccato il suo account.

Mercoledì, in occasione della giornata nazionale degli studenti universitari, agenti in borghese si sono intrufolati negli atenei, malmenato i ragazzi e rapito i giovani Mohammad Shebahati, Arian Heydari, Amirhossein Garshasebi, ed Erfan Zarei.

Nel frattempo, la repressione in Iran ha convinto la Corte costituzionale del Belgio a escludere lo scambio di prigionieri, e quindi il ritorno a Bruxelles del volontario Olivier Vandecasteele, nel carcere di Evin dallo scorso febbraio. Doveva essere scambiato con il diplomatico iraniano Assadollah Assadi condannato a vent’anni da un tribunale di Anversa.

La repressione di regime fa anche crescere la rabbia. Di certo, ayatollah e pasdaran sono consci di correre il rischio di un ribaltamento del sistema, e per questo si stanno preparando la via di uscita. Non sorprende quindi la segnalazione di diversi elicotteri in volo dalla casa del leader supremo Khamenei verso l’aeroporto di Teheran.

Pare che la dirigenza iraniana stia negoziando con le autorità venezuelane affinché i funzionari della Repubblica islamica e i loro familiari possano richiedere la residenza. Sono notizie rivelate da una fonte venezuelana all’emittente saudita Iran International che il manifesto non è in grado di verificare. Un’altra possibile destinazione per gli uomini di regime e le loro famiglie pare possa essere il Cile.


(il manifesto, 9 dicembre 2022)

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