14 Giugno 2018
il manifesto

Il tetto che scotta. La Casa Internazionale delle donne di Roma

di Alessandra Pigliaru

Casa delle donne: «Vogliamo pagare la cifra che abbiamo calcolato»

La Casa internazionale delle donne lancia la sottoscrizione. Ad alcune hanno comminato il Daspo. «Non ci fermeremo e non chiuderemo»

Roma – «La Casa internazionale delle donne è un progetto di libertà e di autonomia». Esordisce così il breve comunicato che invitava alla conferenza stampa tenutasi ieri nella Sala Caminetto di via della Lungara, alla presenza di molte donne e qualche uomo.

Dinanzi al silenzio della giunta capitolina che aveva promesso un incontro con il direttivo della Casa entro la prima metà di giugno, la decisione annunciata è quella di chiedere «alle migliaia che già hanno firmato la nostra petizione e alle tante che continuano, con la loro adesione, a darci la loro forza, di sostenerci anche economicamente con almeno 5 euro. Per questo rilanciamo – attraverso Change.org – la campagna di sottoscrizione». Una scelta maturata all’interno di un contesto complesso di trattative iniziate e poi bruscamente interrotte, molto prima della seduta consiliare del 17 maggio – in cui è stata presentata la mozione Guerrini che insiste sulla chiusura dell’esperienza della Casa internazionale delle donne valutandola manchevole degli obiettivi originari e quindi da riallineare «a più moderne esigenze».

Importante sarà dare seguito all’appello delle amiche del Buon Pastore, sono in tante e tanti che si domandano come aiutare «concretamente»; del resto, anche questo giornale le ha sostenute con i ricavati dell’edizione del 30 novembre scorso. Non bisogna tuttavia perdere di vista il punto politico della vicenda, distinguendolo dall’obiettivo primario della giunta Raggi: ovvero la messa a bando dei servizi in un’ottica che viene chiamata «riallineamento» ma che consiste in effetti nello spianare definitivamente ciò che è la storia della Casa internazionale delle donne, e dunque di un capitolo cruciale del femminismo italiano. In questa deliberata volontà, che non accenna a voler trovare una qualche forma di mediazione o incontro possibile, la posta deve restare sempre il protagonismo di libertà femminile di quella esperienza e non la sua diminuzione a ruolo ancillare o secondo.

Detto questo, con l’avvio della sottoscrizione, le donne del direttivo si mostrano ancora una volta disponibili a pagare, non certo la morosità intera addebitata loro – che non tiene conto delle spese sostenute in questi anni né di quelle relative ai servizi offerti alla cittadinanza – ma ciò che risulta nella memoria presentata ormai mesi fa e dettagliata di cifre, pezze e conti. Ma anche di questa non si hanno notizie di avvenuta lettura da parte del Campidoglio. C’è da sperare che questo disinteresse non diventi un’ignavia imperdonabile ai danni delle donne.

(il manifesto, 14 giugno 2018)

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