29 Dicembre 2021
il manifesto

La città delle donne

di Sebastiano Canetta


Il sesso forte. «Le donne muovono Berlino», la campagna di successo che ha demolito il modello dei padri della patria, raccontando l’altra tradizione della città più femminile di sempre


La Città delle Donne: il Frauen-Power che ha innescato la rivoluzione social-ecologista nella capitale della Germania. Un’esperienza istituzionale unica, da manuale del femminismo, se non fosse che la svolta riguarda indistintamente tutti, senza differenze di genere, censo, età o passaporto. Aria nuova da respirare a pieni polmoni non solo per il cambio del paradigma ambientale, ma anche per il capovolgimento dello stereotipo patriarcale e perfino delle ideologie politiche. Un faro illuminante che è stato possibile accendere grazie al Dna della metropoli guidata sempre dalla stessa parola d’ordine: «diversità».

Triumvirato politico

A Berlino il potere sono loro. Franziska Giffey, 43 anni, sindaca della Spd, Bettina Jarasch, 53, leader dei Verdi, e Katina Schubert, 60, numero uno della Linke. Per la prima volta il destino della metropoli dipende da tre donne che hanno firmato il patto di governo in vigore dal 21 dicembre.

«Vogliamo una città a emissioni zero con buoni posti di lavoro, trasporti sostenibili, istruzione efficiente e servizi sociali a misura di cittadini. In altre parole una società diversificata» scandisce la nuova borgomastra consapevole del compito storico. «Ottocento anni dopo la fondazione di Berlino, finalmente una donna ha assunto la più alta carica istituzionale. Con Bettina e Katina abbiamo definito l’obiettivo dei primi 100 giorni di mandato: istituire l’alleanza per gli affitti sostenibili invitando la società civile a farne parte».

Il segreto del suo governo? Conciliare tre idee diverse con un unico obiettivo, come confermano le due partner di governo.

«Molte differenze tra noi sono solo presunte e la distanza è dettata soprattutto da paraocchi linguistici o icone ideologiche. Certo non la pensiamo allo stesso modo ma discutendo per due mesi abbiamo scoperto la base in comune. Per esempio, siamo tutte d’accordo sulla regia unica dei trasporti che si occupi dai bus fino alle piste ciclabili» è la formula del successo riassunta da Jarasch.

E non ha paura di annacquare il suo partito neppure Schubert. «Evidenziare la firma della sinistra non solo nei nostri assessorati significa spingere per alloggi sostenibili, salario minimo di 13 euro e integrazione degli immigrati. Non smetteremo di combattere il conflitto sociale come di vigilare per evitare che torni la vecchia politica della Spd» assicura la leader della Linke, per niente disposta a sconti personali in nome della solidarietà femminile.

Rete sociale

È bastato che due mesi fa il Dipartimento per le Donne e la Parità del Comune (guidato dalla vecchia giunta) dichiarasse: «per il 2022 si prevedono risparmi», ed è subito scattata la protesta della rete di associazioni. Al punto che al Municipio Rosso hanno dovuto innescare la retromarcia assicurando che i finanziamenti per i loro progetti verranno trovati comunque, a costo di mettere mano alla gestione provvisoria del bilancio.

Funziona così a Berlino la politica attiva delle donne che non si limitano a delegare ma controllano le promesse elettorali scolpite nel patto fra governo ed elettori. Senza alcuna distinzione di ambito: se la Giunta non garantisce i fondi, la galassia delle Ong al femminile si trasforma in un blocco unico indivisibile. Dall’associazione “Lara”, che aiuta le vittime di violenza domestica, a “Space2groW” impegnata nella lotta al razzismo contro le immigrate, dal partito femminista “Die Frauen” alla federazione delle mediche, dalle protestanti dell’“Ekbo” alle cattoliche del “Kdfb”, fino alle “Donne socialiste”, alle “Liberale Frauen”, alle polacche di “AgitPolska” e alle turche del “Türkischer Frauenverein”. «La pandemia ha già ritardato l’obiettivo di uguaglianza sociale delle donne e non possiamo accontentarci dello status quo. Insomma, il governo deve darci il denaro che ci serve, altro che meno risorse» sottolinea a nome di tutte Friederike Strack, portavoce della Ong “Lara”.

Capitane d’industria

Ma la rete al femminile si concentra anche sul mondo del lavoro, dove le berlinesi in media sono pagate il 21% in meno degli uomini. Se ne occupano oltre 170 iniziative pubbliche declinate a un duplice obiettivo: abbattere lo stereotipo dei «lavori per maschi» e conquistare la New Economy. Una rivendicazione politica per aumentare quota, visibilità e professionalità delle lavoratrici con appositi concorsi e corsi di formazione della leadership, senza contare l’imprescindibile Co-working. Il risultato è che oggi a Berlino la percentuale di imprese innovative avviate dalle donne è pari al 28%: dieci punti in più rispetto alla media nazionale.

«Le start-up sono il motore dell’occupazione futura. Ma nonostante a Berlino ci siano oltre 75 mila impiegati nel settore, le donne fondatrici di impresa sono meno del 16%. In pratica si ripete la dinamica delle grandi aziende dove le donne restano sottorappresentate. La questione è fondamentale: non possiamo mica lasciare l’intelligenza artificiale, la guida autonoma, e tutte le altre tecnologie-chiave solo in mano agli uomini» riassume Brigitte Zypries, ex responsabile federale dello Sviluppo economico.

Madri della patria

Da dieci anni sono ritratte nei manifesti sparsi in tutte le stazioni della metro. La campagna «Le donne muovono Berlino» ha demolito il modello dei padri della patria raccontando l’altra tradizione della città più femminile di sempre, non solo demograficamente. Nella capitale tedesca vivono 1.784.000 donne: 66.582 in più degli uomini (nel 2002 erano solo 10.000) senza contare la fascia 30-35 anni dove le femmine sono 135.801 più dei coetanei. Basta e avanza per appendere le targhe con biografia delle 15 berlinesi che hanno fatto la storia della città. Come Margarethe von Witzleben che a fine ‘800 fondò il primo gruppo di mutuo, la biologa Katharina Heinroth celebre per avere salvato dalla fame gli animali dello zoo alla fine della Seconda guerra mondiale, la tassista Klara Bloch che nascose ebrei e disertori rischiando la vita e la dottoressa Jenny de la Torre Castro a cui si deve l’assistenza medica per senzatetto e oggi è ricordata con la scritta: «Meno slogan e più cerotti».


(il manifesto, 29 dicembre 2021)

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