22 Luglio 2021
Internazionale

La città delle donne

di Pablo León, El País, Spagna


Pedonalizzazioni. Strade e parchi fruibili da tutti. Grande attenzione al trasporto collettivo. A Vienna i progetti di urbanistica femminista stanno rivoluzionando l’organizzazione e il funzionamento degli spazi pubblici


Può una strada essere maschilista? Può un parco escludere le adolescenti? Può il trasporto pubblico far sentire le donne insicure? La risposta a tutte queste domande è sì. “Le città sono state pensate in un’epoca dominata da una visione chiaramente maschile, che aveva al centro l’automobile”, spiega l’ingegnera Eva Kail, specializzata nella cosiddetta urbanistica femminista. “Le città attuali sono state concepite dagli uomini affinché altri uomini le attraversassero in auto per andare al lavoro. Le strade erano considerate luoghi di passaggio e non spazi d’uso. Da anni cerchiamo di modificare queste convinzioni”, ribadisce l’urbanista, che dal 1986 lavora con il comune di Vienna per rendere la pianificazione della città più attenta al genere di chi la abita.

Materie neutre

L’ex capitale dell’impero austroungarico sembra particolarmente rilassata in questa giornata primaverile. La temperatura si avvicina ai trenta gradi, un caldo insolito per i primi giorni di maggio. I viennesi passeggiano per le strade, si spostano in bicicletta e prendono il sole sulle rive del Danubio. Anche se i bar, i caffè all’aperto e i ristoranti sono ancora chiusi, Mariahilfer strasse è affollata.

Questo elegante viale ottocentesco, chiuso al traffico, ospita tra le facciate dei suoi palazzi una sfilza di negozi. I clienti attendono pazientemente in fila. “C’è un 3×2 sulle scarpe”, dice un ragazzo sorridendo, mentre aspetta il suo turno. È venuto qui con due amici per approfittare dell’offerta.

Dieci anni fa questo viale era soffocato dalle auto, dal rumore e dallo smog, ma alla fine del 2013 il comune ha avviato un progetto pilota che in due anni l’ha trasformato. La strada è diventata uno spazio all’avanguardia: uno shared space (spazio condiviso, un concetto di design urbano che indica una strada dove sono stati eliminati i confini tra le diverse modalità di trasporto) di 1,6 chilometri, il più lungo d’Europa. È un’area in gran parte pedonale, dove i passanti e i ciclisti hanno la precedenza e di tanto in tanto incrociano un veicolo del trasporto pubblico o un furgone impegnato nel carico e scarico di merci.

I viennesi e i turisti adorano Mariahilfer strasse. “Ma non sempre abbiamo potuto contare su questo livello di consenso”, ricorda Maria Vassilakou, vicesindaca della città tra il 2010 e il 2019 per il partito Die Grünen, i verdi. Vassilakou è stata tra i promotori del progetto. “Il processo è stato difficile e ha provocato polemiche. Alcune persone volevano continuare a guidare per le strade di tutta la città senza pensare alle conseguenze per gli altri. La maggioranza dei cittadini non sapeva che si trattava di un progetto di urbanistica femminista”.

La capitale austriaca, che ha 1,9 milioni di abitanti (2,6 milioni se si considera l’area metropolitana), è un posto ideale per vivere, come confermano anno dopo anno le classifiche sulla qualità della vita e la presenza di spazi verdi. Secondo Kail, questi riconoscimenti non sono casuali. “È complicato valutare l’impatto di decenni di lavoro sul genere, ma di sicuro la nostra attività ha avuto delle conseguenza per la città”.

L’urbanistica e la mobilità sono considerate tradizionalmente “materie neutre”, che puntano a ottimizzare lo spazio pubblico senza privilegiare nessun gruppo in particolare. Ma, secondo Kail, “l’urbanistica non è neutra. Quando sono state fissate le regole della mobilità, ormai trent’anni fa, a prendere le decisioni erano uomini della classe media, tutti automobilisti. Sono stati loro a dettare la linea”. Quest’approccio maschile ha creato una segregazione degli spazi cittadini. Mentre le strade e i luoghi pubblici venivano associati al lavoro, alle auto e agli uomini, la casa e la vita familiare rimanevano legate al genere femminile. Le donne sono state allontanate dalle strade e dalle piazze, dove provavano una sensazione di estraneità. Questa percezione si traduceva spesso in paura o nella difficoltà a spostarsi nello spazio urbano.

Eva Kail è stata influenzata dalle teorie di Jane Jacobs, autrice del pionieristico saggio Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane (Einaudi 1969), pubblicato nel 1961, e storica antagonista di Robert Moses, l’urbanista che definì lo sviluppo urbano di New York nel novecento, grande sostenitore dell’auto privata e nemico del trasporto pubblico. Seguendo la lezione di Jacobs, Kail ha introdotto le donne nelle città, ispirandosi anche ad alcuni progetti realizzati in Germania. Alla fine ha individuato una precisa linea di ricerca: studiare le sensazioni provate dalle donne nello spazio pubblico e capire come questa percezione influenzi il loro rapporto con la città.

“Abbiamo chiesto a otto donne di età e provenienza diverse di spiegarci come percepivano la strada. L’obiettivo era realizzare un’analisi d’avanguardia sulla segregazione di genere a Vienna, usando i dati sugli spostamenti urbani di uomini e donne”, spiega l’urbanista.

I ricercatori hanno scoperto che due terzi degli spostamenti per motivi di svago erano fatti dagli uomini. Inoltre gli uomini erano dipendenti dall’auto, mentre sette pedoni su dieci erano donne. Alcune conclusioni della ricerca sono diventate degli slogan, come quello secondo cui pedonalizzare la città vuol dire renderla più femminile.

La ricerca di Kail si è trasformata in una mostra intitolata Wem gehört der öffentliche Raum. Frauenalltag in der Stadt (A chi appartiene lo spazio urbano. La quotidianità delle donne nella città), inaugurata nel 1991. Due anni dopo il comune di Vienna ha incaricato l’urbanista di dirigere il Frauen Büro (ufficio delle donne), un organismo municipale di nuova creazione. Il primo progetto realizzato si chiama Frauen Werk Stadt (Fws, la città delle donne lavoratrici) e funziona ancora oggi: è un complesso di edilizia residenziale a otto chilometri dal centro di Vienna. Nella fase di progettazione sono state ascoltate le opinioni delle donne, così come quelle degli abitanti della zona, e il complesso è stato disegnato e costruito esclusivamente da donne.

“C’era un certo scetticismo all’inizio”, ricorda Kail. Una domanda, in particolare, le è stata ripetuta decine di volte: perché solo le donne?

“Abbiamo deciso che poteva essere interessante affidarsi ad architette e urbaniste (che all’epoca erano il 10 per cento dei professionisti nel campo)”, racconta Kail. Il progetto, nonostante tutte le difficoltà, è andato avanti. “L’appoggio politico è stato molto importante. Vienna ha una tradizione di governi socialdemocratici, e nel partito le donne sono sempre state ben organizzate”.

Mentre gli urbanisti e gli architetti esprimevano le loro perplessità sul progetto, i cittadini festeggiavano la costruzione di 350 case popolari.

“Diciamo che abbiamo privilegiato gli interessi della cittadinanza”, dice Kail con una punta d’ironia. “Alcuni sistemi sociali hanno tradizionalmente relegato le donne alla crescita dei bambini, alle faccende domestiche e alla cura degli anziani. Per questo, quando oggi pianifichiamo, lo facciamo con una visione più olistica”, continua Kail, sottolineando che le città devono essere pensate come entità inclusive, diversificate e accessibili. “La cosiddetta città in quindici minuti (dove ognuno può avere tutti i servizi necessari a una distanza massima di 15 minuti, a piedi o in bicicletta) è un concetto che nasce nell’urbanistica femminista. Oggi è tra gli obiettivi dell’amministrazione viennese”.

Le architette Franziska Ullmann, Liselotte Peretti, Gisela Podreka e Elsa Prochazka hanno realizzato la Fws tra il 1995 e il 1997. I loro nomi figurano all’entrata del complesso, formato da blocchi di edifici bassi alternati a spazi verdi e aree destinate al gioco, con balconi e finestre pensati per rendere la strada più piacevole. Inoltre, se qualcuno cammina da solo è facilmente visibile dai vicini. Sono gli eyes on the street (occhi sulla strada) di cui parlava Jane Jacobs. “L’idea che abbiamo della città definisce il nostro rapporto con essa”, spiega Barbara Laa, ricercatrice dell’Istituto di mobilità e pianificazione del politecnico di Vienna. Su questa percezione influiscono molti elementi. L’illuminazione, per esempio, determina il modo in cui vediamo una strada: una maggiore quantità di luce mitiga la paura che ci sia qualcuno nascosto e invisibile, pronto ad attaccare. “Non scompare il rischio di essere vittime di aggressione, ma s’ingentilisce la percezione dello spazio”, sottolinea Laa.

Un parco diverso

L’Alois Drasche park è una delle molte aree verdi della capitale. Si trova nel quarto distretto della città e ospita un giardino botanico molto curato. I bambini scorrazzano liberamente, hanno a disposizione altalene e perfino una casa su un albero.

Un gruppo di adolescenti affolla un campo sportivo. È una delle tante aree per l’infanzia e la gioventù che sono state realizzate a Vienna adottando una prospettiva di genere. Una ventina d’anni fa il comune si rese conto di un problema legato alla fruizione dei parchi per l’infanzia: le bambine li frequentavano, ma crescendo se ne allontanavano. Da un lato erano troppo grandi per le altalene, dall’altro si sentivano escluse dagli spazi sportivi, dedicati soprattutto al calcio. “Sono stati fatti degli interventi per dare spazio ad altri giochi e sono state costruite delle scalinate”, spiega Kail, che ha partecipato alla ristrutturazione. Così, con l’ampliamento delle attività sportive disponibili – sono stati realizzati campi da badminton e pallavolo – le ragazze sono tornate nel parco.

“Progettare una città con una prospettiva di genere vuol dire prendere coscienza del fatto che la cittadinanza è estremamente varia e ha esigenze diverse”, spiega l’ex vicesindaca Vassilakou. Per esperienza, sa che la trasformazione urbana si porta sempre dietro discussioni e polemiche. Quando ha progettato la modifica di Mariahilfer strasse, Vassilakou si è scontrata con la dura opposizione dei commercianti e degli automobilisti. Per cercare di placare gli animi, il comune ha indetto una consultazione pubblica in cui hanno votato 33mila residenti della zona. “Abbiamo visitato migliaia di case per spiegare il progetto”, ricorda Vassilakou. La pedonalizzazione, sostenuta da un investimento di 2,2 milioni di euro e progettata dagli studi B+B e orso.pitro, ha ricevuto l’appoggio del 53 per cento dei votanti.

In un secondo sondaggio condotto dopo il completamento del progetto il 70 per cento dei residenti si è dichiarato soddisfatto delle novità. Inoltre quattro attività commerciali su dieci avevano registrato un aumento degli incassi, mentre negli altri negozi il volume d’affari era rimasto inalterato. Secondo Vassilakou, quando si pensa a una città bisogna “avere una visione”, ed è fondamentale parlare con le persone, ascoltarle e coinvolgerle. “Ma è altrettanto importante discutere e studiare le argomentazioni di chi si oppone ai cambiamenti, perché solo così si può capire come convincere queste persone ad accettare le novità”, aggiunge. “Una minoranza, anche se è molto determinata, non può cambiare una città. La trasformazione non è una linea retta, ma un percorso a zigzag”.

Verde e mobilità

Sulla scia di questi interventi d’avanguardia, a Vienna è partito un altro progetto: Aspern, una grande area residenziale a 14 chilometri dal centro, la cui costruzione è stata avviata nel 2014 e sarà completata nel 2028. Il quartiere, che dovrebbe ospitare 20mila abitazioni e altrettanti uffici, è considerato un laboratorio urbano. “Punta molto sulla prossimità; ha un suo piano di mobilità; la metropolitana è arrivata prima degli abitanti, per creare un modello sostenibile; e soprattutto è femminista”, riassume Ingrid Spörk del gruppo Wien 3420 Aspern Development AG, responsabile del progetto.

Tutte le strade della zona portano nomi di donne – passeggiata Janis Joplin, piazza Hannah Arendt, parco Pippi Calzelunghe – e si snodano intorno a un lago balneabile, che nei mesi più caldi è già molto frequentato. L’anno scorso una delle piazze del quartiere, quella dedicata alla filosofa tedesca Arendt, è stata riconosciuta come un modello di uso non commerciale dello spazio pubblico. Questi ambienti sono la carta d’identità del quartiere: occupano la metà della superficie su cui si sviluppa la città.

“A Vienna solo l’8 per cento delle strade è dedicato a personaggi femminili”, sottolinea Katja Schechtner, urbanista, ricercatrice (collabora con l’Ocse e l’Mit) e “nomade urbana”. Insieme al collega Wojciech Czaja, architetto e giornalista, ha appena inaugurato nel quartiere la mostra Frauen Bauen Stadt. The city through a female lens (Le donne costruiscono la città. La città attraverso uno sguardo femminile). “Oggi le donne sono presenti, ma continuano a essere invisibili perché non sempre sono coinvolte nei grandi progetti”, spiega Schechtner.

L’esposizione, all’aperto, racconta la storia di 18 architette – tra cui Lina Bo Bardi, Elizabeth Diller, Zaha Hadid e Silja Tillner – e di alcuni dei progetti a cui hanno partecipato.

“Le maggiori differenze tra l’urbanistica maschile e quella femminile sono nell’uso dello spazio pubblico”, spiegano i responsabili della mostra. In passato la mobilità era più semplice: da casa al lavoro e ritorno. “Nel ventunesimo secolo i percorsi sono diventati più complessi, sono composti di più viaggi e seguono diversi modelli. Somigliano più agli spostamenti che da sempre fanno le donne”, aggiungono, rivendicando la loro attenzione all’urbanistica femminista.

“La pianificazione dell’urbanistica femminista si è evoluta fino a dar vita a un’urbanistica della diversità”, spiega Vassilakou, riferendosi alla possibilità di pensare le città per abitanti di ogni età, dagli otto agli ottant’anni, con mobilità ridotta, creando zone verdi, con ombra e acqua, per persone di generi, origini etniche e identità diversi. “Vogliamo scommettere su un’urbanistica incentrata sulle persone”, aggiunge Vassilakou. “La pandemia ci ha fatto capire che oggi quest’approccio è più importante che mai”.


Quando sono state fissate le regole della mobilità, trent’anni fa, a prendere le decisioni erano uomini della classe media, tutti automobilisti


Un’altra prospettiva

Oltre a Vienna, altre metropoli – europee e non solo – stanno lavorando su modelli urbanistici attenti alle esigenze delle donne. Una delle prime regioni europee a sperimentare un approccio femminista alla pianificazione urbana è stata la Catalogna, che nel 2004 ha approvato la Ley de barrios en Cataluña, una legge che punta allo sviluppo di quartieri, villaggi e aree urbane secondo un’innovativa prospettiva di genere. Nel 2017 il governo autonomo catalano ha anche approvato un provvedimento per “inserire la prospettiva di genere in tutte le politiche urbanistiche”, con particolare attenzione alla pianificazione, alla fruizione degli spazi pubblici, alla mobilità e alle aree verdi. I principi dell’urbanistica femminista di recente sono stati recepiti anche in India, dove alla fine del 2020 la città di Mumbai ha inserito nel suo piano regolatore una misura che prevede di destinare circa novanta lotti di terreno pubblico alla costruzione di infrastrutture e servizi pensati per andare incontro alle esigenze delle donne.


(Internazionale, 22 luglio 2021)

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