di Franca Fortunato
Il presepe, nonostante l’albero di Natale, continua a mantenere il suo fascino per credenti e atei, laici e diversamente credenti, come me. Mi chiedo il perché. La risposta immediata è perché tutte/i siamo nate/i e cresciute/i nella religione cattolica e il presepe è parte di quella tradizione che, per tante/i della mia generazione, è legata al ricordo dell’infanzia. Mio padre, per la gioia di noi figlie, lo costruiva ogni Natale. Una risposta valida, certo, ma ancora di più, per me donna, lo è quella che ho trovato nei libri di una femminista «teologa per caso», Rosetta Stella, mia amica, scomparsa da qualche anno. Il presepe mi affascina perché racconta di un’altra civiltà dei rapporti uomo-donna, una civiltà che ha avuto inizio col Sì di una «donna che viveva una vita comune sulla terra», Maria di Nazaret. «Per partorire Dio in carne ed ossa – scrive Rosetta in Sopportare il disordine. Una teologia fatta in casa – in modo che loro lo potessero vedere, c’è voluta una donna. E senza l’aiuto di un uomo per giunta! Non si era mai sentita dire cosa meravigliosa e sublime di un Dio che, pur essendo onnipotente, e quindi nell’ottima condizione di essere capace di tutto, una volta che ha deciso di incarnarsi non lo fa con qualsivoglia prodigio, una di quelle cose che per lui sono facilissime, che so? Comparire all’improvviso sulla terra […]. E invece questo Dio imprevedibile che ti fa? Magari proprio perché è capace di tutto, per incarnarsi chiede il permesso e, giacché c’era, visto che la sua specialità è “l’Impensabile”, “l’Inconcepibile” per definizione, non lo chiede a un Gran Sacerdote della sua cricca religiosa […], né a un Re o Capo di Stato […]. No […], lo chiede a una piccola donna qualunque. Per incarnarsi, il Principio creatore della Vita si rivolge a una donna e al suo, di lei, desiderio di vita. E non lo fa con la forza, non vuole coglierla di sorpresa, la ama. E così le manda un angelo per annunciarsi, come farebbe qualsiasi innamorato timoroso di non essere corrisposto dello stesso amore. Perché se così fosse, se lei non fosse stata innamorata altrettanto, non se ne sarebbe fatto niente, non se ne sarebbe potuto fare niente. Bisognava – lui, Dio, ne aveva bisogno – che il consenso di lei fosse pieno perché lui potesse invadere il suo corpo, nutrirsi di lei. Lui, la Luce, venire alla luce da lei. Bisognava, era proprio necessario, che, se voleva attraversare la vita delle creature umane fino alla morte per salvarle, dovesse attraversarla a cominciare dal buio dell’incertezza che grava sul Sì di una donna, perché il suo desiderio fosse compiuto. E lui, alla sua maniera, lo fa da grande, da Dio. Non esercita alcun attributo virile, nessun diritto, non ne ha bisogno: è Dio. Si annuncia per amore e lei risponde per amore. Tutto qui.»
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(Il Quotidiano del Sud, 12 dicembre 2019)