14 Febbraio 2024
La Stampa

La doppia leadership di Elly e Giorgia

di Annalisa Cuzzocrea


Nasce tutto da un doppio riconoscimento. Giorgia Meloni ha scelto la segretaria del Pd Elly Schlein come leader dell’opposizione, e si prepara a sfidarla alle Europee. Così ieri mattina – al telefono – ha ascoltato le sue parole sul Medio Oriente, su quel che sta accadendo a Gaza. Le parole sulla necessità di un cessate il fuoco umanitario nella Striscia, anche per ottenere la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani dei terroristi di Hamas. E ha scelto di fare in modo che la mozione parlamentare del Pd passasse grazie all’astensione della maggioranza. Non era previsto, non era scontato. E non era semplice. Non è neanche a costo zero per Meloni, che si ritroverà in casa la Lega – Salvini ha già cominciato – a esercitare distinguo sposando totalmente la posizione del governo guidato da Benjamin Netanyahu. E che sebbene non abbia condiviso le parti della mozione di critica all’esecutivo che sta conducendo la guerra a Gaza, sconterà sicuramente il malumore di Israele.

Il testo passato alla Camera infatti impegna l’Italia a muoversi per un’iniziativa in tutte le sedi che chieda il cessate il fuoco. Può sembrare meramente simbolico, ma non lo è. Significa ad esempio che se si dovesse votare di nuovo una richiesta di cessate il fuoco alle Nazioni Unite, il governo italiano dovrebbe essere conseguente e non astenersi come ha fatto alla fine di ottobre. Significa – anche se le due posizioni non sono minimamente paragonabili – spingersi dove gli Stati Uniti non possono ancora arrivare, e infatti non sono arrivati. Biden e Blinken stanno evidenziando tutti gli errori del premier israeliano, ma questo non li ha portati a chiedere di fermare le operazioni su Gaza. Perché una simile richiesta, fatta da Washington – dai cui rifornimenti in armi Israele dipende – avrebbe tutto un altro peso.

Eppure, quel che è successo alla Camera porta il nostro Paese su una posizione che è già di Germania e Gran Bretagna e che, vista da chi la propone, dovrebbe servire a fermare Netanyahu le cui intenzioni su Rafah porterebbero inevitabilmente a una nuova catastrofe umanitaria, forse ancor più sanguinosa. È probabile che le ragioni di Meloni siano geopolitiche e di posizionamento internazionale, ma è un fatto che questa decisione arrivi attraverso un patto con l’opposizione. Ed è – dal punto di vista di chi è affezionato alla Repubblica parlamentare che ancora abbiamo – un fatto positivo.

A sua volta Schlein riconosce a Meloni il suo ruolo di presidente del Consiglio, l’unica in grado di far avanzare la posizione italiana a livello internazionale: la segretaria Pd ha cercato, come dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, un’interlocuzione diretta con la premier perché pensa che sulle questioni più delicate, che devono trascendere lo scontro ideologico, l’unica strada sia il lavoro comune. Lo ha fatto dopo un’operazione di cucitura attenta fatta nel partito dal responsabile Esteri Peppe Provenzano, che ha cercato anche un accordo con il resto delle opposizioni, Italia Viva compresa. E ha capito che l’unico modo di ottenere qualcosa che non fosse un semplice punto simbolico, era chiamare direttamente Meloni.

Per un giorno il Parlamento è tornato centrale e per un giorno maggioranza e opposizione hanno lavorato come in un Paese maturo. Ma è partita ieri, più di quanto non fosse già accaduto nelle scorse settimane, la corsa solitaria delle due leader. Che necessariamente taglia fuori i comprimari e polarizzerà sulle loro figure i prossimi mesi e soprattutto le prossime elezioni europee. Questo significa che ci saranno ancora scossoni a destra come a sinistra. Dove Giuseppe Conte – che già non amerebbe essere messo dentro a una generica sinistra – cercherà di farsi spazio con la sua proposta politica a danno del Pd. Quanto a Salvini, tenterà di fare lo stesso, come ormai da mesi. La corsa però è già partita. E Schlein e Meloni sembrano decise a non farsi fermare.


(La Stampa, 14 febbraio 2024)

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