di Sarantis Thanopulos e Annarosa Buttarelli
Verità nascoste. Mille esempi di obiezioni che le donne, nei millenni, hanno inviato ai pensatori delle varie epoche, tentando di scongiurare le conseguenze della filosofia dicotomica. La paura della donna di fronte al pericolo è chiaroveggente, l’erigersi dell’uomo nella posizione di combattimento non lo è.
Annarosa Buttarelli: «Riprendendo la nostra conversazione, per parlare con precisione della “lungimiranza femminile” dovrei raccontarti mille esempi di obiezioni che le donne, nei millenni, hanno inviato ai pensatori delle varie epoche, tentando di scongiurare le conseguenze della filosofia dicotomica. Direi che forse possiamo riflettere almeno su due proposte che la lungimiranza delle donne avanza in tempi di doloroso disorientamento: 1) faticosa e necessaria trasformazione della forma mentis di genealogia maschile. Si è sempre manifestato nei millenni un modo differente di ragionare tra uomini e donne, e anche un’altra forma di scientificità. Binaria e escludente nei primi; capace di convivere con le contraddizioni, cioè aperta agli insegnamenti della reale esperienza, nelle seconde. Piena di errori logici la prima, a causa dell’andamento dicotomico insopportabile da parte della realtà; rigorosa ma aperta a logiche paradossali, l’altra. Faccio un esempio molto lontano ma chiaro. Assiotea di Fliunte entrò nella Accademia platonica vestita da uomo (ovviamente) e vi lottò contro Aristotele sul tema della schiavitù, scoprendo l’errore logico del filosofo che escludeva dall’umanità donne e schiavi. 2) la dimostrata capacità delle donne di cambiare la storia senza l’uso di violenza. Proprio oggi sarebbe il caso di porre fine al gingillarsi, così amato dall’inefficace intellettualismo maschile, intorno ai nomi noti della cultura italiana al solo scopo di stabilire se uno ha azzeccato il commento, o l’ha sbagliato. Oggi trovo ancora più scandalosa e violenta del solito la gara narcisistica tra uomini di cultura. Non trovi irrispettoso che molti tuoi simili non cerchino mai lo scambio con noi o non abbiano l’umiltà del silenzio? È irrispettoso anche nei confronti dei medici e degli infermieri che sono là, sulla linea di confine».
Sarantis Thanopulos: «Mi vengono in mente le donne di Sette su Tebe spaventate dal clamore della guerra che si avvicina. Il re Eteocle le riprende severamente perché la loro agitazione potrebbe intaccare il morale dei difensori della città minacciata. La paura delle donne, vista dal re come impressionabilità, è legata alla loro più acuta percezione del pericolo e del dolore. Eschilo partecipa a entrambe le visuali, resta irrisolto, ma la potenza della sua opera sta nel pensiero femminile, nascente dalla viscerale, travolgente profondità delle emozioni vissute, che configura l’insensatezza della guerra colta nella sua natura fratricida. Il nostro impegno contro il Coronavirus, che guerra non dovrebbe essere chiamato, subisce l’egemonia della retorica maschile che ha nella postura (corporea e mentale) del guerriero il suo mito fondativo. La paura della donna di fronte al pericolo è chiaroveggente, l’erigersi dell’uomo nella posizione di combattimento non lo è. Ma abbiamo mai ascoltato Cassandra? I maschi temono il silenzio, diffidano delle parole che sanno aspettare per prendere forma. Temono la paura e costruiscono barriere logiche contro di essa. Ad ogni cosa sconosciuta devono dare un significato, il senso della vita che eccede ogni sua significazione verbale crea loro smarrimento. L’orthòs logos ripara la ferita narcisistica prodotta dall’incertezza. Noi uomini, Annarosa, guardiamo da fuori verso il dentro, voi donne da dentro verso il fuori. La logica binaria del terzo escluso (più vicina alla visione nostra del mondo) ci fa conoscere le condizioni oggettive dell’esistenza, ma questa logica nel campo dell’esperienza vissuta (più vicina alla prospettiva vostra) vale e non vale al tempo stesso. La visuale femminile e quella maschile dialogano oggi dove i medici e infermieri/e reggono il peso della lotta contro la pandemia senza sentirsi eroi/eroine e senza ignorare la paura».
(il manifesto, 4 aprile 2020)