26 Settembre 2023
il manifesto

La ragazza che salvò il ponte

di Valeria Parrella


Delle Quattro Giornate di Napoli, di cui quest’anno ricorrono gli ottant’anni, si può parlare da tante angolazioni: almeno una per ogni targa apposta in città, tante, alcune famose, come quella nel municipio, che ricorda il più giovane martire della resistenza, Gennaro Capuozzo, 12 anni.

Altre targhe sono più nascoste, quella a Sedil Capuano, dove anche gli anarchici vanno a deporre un fiore, e quella al bosco di Capodimonte, alla masseria Pagliarone al Vomero. Sono una per ogni quartiere, una per ogni drappello che si organizzò con quello che aveva, per riprendersi l’ultima cosa che restava, la libertà: Napoli è l’unica città che si fa trovare già liberata all’arrivo degli anglo americani. Io sono particolarmente affezionata alla targa apposta sul Ponte della sanità per Maddalena Cerasuolo, nome di battaglia: Lenuccia.

C’è un’intervista che Maddalena Cerasuolo rilascia nel 1969 alla tv: è l’unica donna tra tanti uomini, è allegra e fiera, racconta e ride, eppure non racconta cose lievi, ride perché è viva in un’Italia che pareva liberata: dice che conobbe suo marito quando imparò a usare il moschetto, ovvero quando non c’era più bisogno delle bombe, perché tutti i carri armati erano andati. Maddalena Cerasuolo aveva ventidue anni, era figlia di un uomo molto conosciuto nel quartiere Stella, un quartiere che sembra un alveare, ancora adesso, che va verso il basso, si inabissa nel tufo, mentre il resto della città si arrampica sulle colline. Il padre di Maddalena ne sa di strategie militari e organizza la resistenza.

La resistenza a Napoli ha radici semplici: nasce nei ricoveri saturi di corpi affamati, pieni di tifo petecchiale; nasce tra le salme estratte dalle rovine dei bombardamenti, terribili, manca l’acqua, il gas, la luce. «Sarà una passeggiata vittoriosa» disse Mussolini via radio ai napoletani arringati in piazza Plebiscito, e per quella passeggiata mia nonna mi raccontava del terrore di sentir le bombe sibilare e prendere quel palazzo lì invece del suo, lei che non poteva abbandonare la madre paralitica per scappare nei ricoveri. Era la guerra dei civili, e lì nacque la resistenza napoletana. Nacque perché non si fossero liberati in ventiquattr’ore i nazisti avrebbero fatto brillare una fabbrica che ancora li sfamava, perché avevano minato il ponte della sanità, una arteria sotto cui correvano le tubature e i cavi. Nacque perché era tempo.

Così il padre di Lenuccia organizzò un drappello di partigiani e lei, che era “capatosta”, volle scendere a combattere con suo padre. Fu lì, dietro la statua dei Martiri della prima guerra mondiale (perché la realtà dà sempre i punti alla narrazione) che un generale la vide e le propose di andare a trattare la resa con i nazisti.

Teresa Mattei, staffetta partigiana e madre costituente, ci raccontò di cosa succedeva se i nazisti incontravano una giovane donna: lei fu violentata e si salvò dall’esecuzione lanciandosi da una finestra. Questo succedeva. Eppure Lenuccia andò: «Magari se vedono te non ti uccidono, se vedono un maschio gli sparano di sicuro».

Sono passati ottant’anni ma la possiamo vedere questa ragazzina magra piena di capelli andare da sola, ché i vicoli non sono mica poi tanto cambiati.

Ché ciò che spinge una giovane donna a sfidare la sorte per il bene comune non è mica tanto cambiato.

Lenuccia va e tratta, poi torna indietro con la risposta negativa e, tornando, vede un sidecar tedesco chiedere a un vecchio dov’è «il ponte». Allora intuisce che vogliono farlo saltare e corre, anticipa la notizia, la consegna a suo padre, si organizzano le barricate e il quartiere salva il suo ponte. In quell’intervista, suo marito dice di lei: «Era un poco femmina e un poco scugnizzo, io mi innamorai».

In capo a quattro giornate i nazisti si arresero, e pure quei fascisti di cui oggi contiamo i nipotini al governo. Consegnarono i prigionieri per avere la via libera, e gli alleati, quando entrarono, ebbero solo da ricostruire. Quel ponte oggi si chiama Maddalena Cerasuolo: un ponte è un ponte, serve per collegare, non per dividere. Quando venite a Napoli andate ad affacciarvi sulla città da lì.


(Il manifesto, 26 settembre 2023)

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