17 Ottobre 2021
la Repubblica

La scrittrice Nice Leng’ete: “Non solo Nobel, ecco i sogni della mia Africa”

di Raffaella Scuderi


C’è un proverbio africano che dice: «Se vuoi andare veloce vai solo. Se vuoi andare lontano vai in compagnia». La vita di Nice Leng’ete, raccontata nel libro Sangue, è un inno alla potenza della pazienza e dell’ascolto. È la storia di un’eroina che in quattro anni ha cambiato secoli di tradizione. E ha iniziato a soli quattordici anni. Nice è una donna Masai che oggi ha trent’anni. Nasce e cresce in un villaggio all’ombra del Kilimangiaro, al confine tra Kenya e Tanzania. I suoi genitori la amano. Ma le tradizioni sono antiche e non in discussione. Anche quando fanno male fino alla morte. A cinque anni la mamma la porta ad assistere al “taglio” (così lo definisce), la mutilazione genitale femminile, il passaggio obbligato “per diventare una vera donna”: sangue e dolore senza antibiotici né analgesici, solo latte e carne. «Avevo sentito le urla della ragazza, l’avevo vista tremare e sudare. Come poteva essere una cosa buona, se faceva tanto male?». La ragazza dopo poco morì “per colpa del malocchio”.

La battaglia di Nice iniziò quel giorno. «Il taglio non è soltanto una mutilazione fisica. Ti toglie le speranze e i sogni». L’asportazione della clitoride è una pratica diffusa tra i Masai, e non solo. Segna l’ingresso nella vita adulta, ovvero il matrimonio. Il destino è segnato e uguale per tutte, se non muoiono prima: fine degli studi, figli, pesanti carichi di legna sulle spalle, chilometri da percorrere per attingere l’acqua, la cucina, il bucato e le riparazioni della casa. Il giorno in cui è prevista la sua mutilazione, a dieci anni, Nice fuggì su un albero, sapendo che sarebbe diventata la reietta della comunità. «Gli uomini dicevano che ero un’aberrazione, una codarda, e io ero d’accordo con loro. Le donne che si sottraggono al taglio non fanno più parte della famiglia. Non diventano mai mogli e madri. Non sono neanche donne».

Aiutata da un’insegnante illuminata e dalla sorella, questa bimba inizia a percorrere la strada della sua missione: abolire la mutilazione genitale femminile. Ad oggi Nice ha salvato ventimila ragazze. È ambasciatrice di Amref [AMREF Health Africa, African Medical and Research Foundation, Fondazione africana per la medicina e la ricerca, NdR] e tra le 100 donne più influenti secondo Time. Gira il mondo per portare il suo messaggio ed è un esempio della vitalità culturale del continente, su cui il Nobel per la Letteratura ad Abdulrazak Gurnah ha portato l’attenzione. Lei la giudica «una grande vittoria non solo per l’Africa intera, ma per tutta la comunità nera. È la dimostrazione che siamo, come africani, sulla strada giusta verso il futuro. Gurnah porta alla ribalta il nostro continente e le sue storie. Sarà d’ispirazione per le nuove generazioni». Come del resto sono la sua vita e il suo lavoro di attivista.

Nice, lei è una rivoluzionaria. Cosa l’ha resa diversa dalle altre ragazze Masai?

«Non ho nulla di diverso. Sono cresciuta in un villaggio all’interno di una comunità amorevole e generosa che ci insegnava ad amare il nostro vicino e a condividere il poco che avevamo. Io amo la mia gente. Crescendo però, assistevo a quelle cerimonie. E ho sentito che non lo volevo nella mia vita.»

Cosa ricorda del suo primo no al “taglio”?

«Fu il giorno in cui mia madre mi portò per la prima volta ad assistere alla cerimonia. Durante la mutilazione non si deve piangere, muoversi o spostare gli occhi. È lì che ho pensato: non voglio essere la moglie di qualcuno. Non voglio morire e non voglio smettere di studiare.»

Lei si è salvata fuggendo. Come aiuta queste ragazze?

«Fuggire non è la soluzione. Io ero proprio piccola. Parlo molto con loro. Non è sempre facile. All’inizio se avvicinavo una ragazza nel cortile di casa, fingeva di non vedermi. I genitori avevano vietato a tutte di parlarmi. Ho imparato ad ascoltarle: i cambiamenti devono avvenire dall’interno, non dall’esterno. Prima di esprimere un’opinione o di fare qualsiasi cosa, ascolto. È la tradizione Masai. Il “taglio” vive nella nostra comunità da centinaia di anni. La chiave è il tempo e la pazienza.»

Qual è la difficoltà maggiore?

«Non fare il “taglio” equivale a essere ripudiate, non amate. È la cultura. E non ci sono errori nelle tradizioni. Non sottoporsi alla mutilazione vuol dire non essere accettate dalla propria comunità. Ma l’istruzione e il dialogo col tempo aiutano. Adesso nella mia comunità al posto del “taglio” si praticano dei riti alternativi.»

Da quel primo rifiuto ad oggi cosa ha realizzato?

«Insieme ad Amref abbiamo raggiunto ventimila ragazze. E ora ci sono comunità pronte a celebrare matrimoni con donne non circoncise. Ma c’è ancora tanto lavoro da fare. Ogni anno le vittime del “taglio” sono tre milioni.»

In Kenya la mutilazione è illegale dal 2011. È cambiato qualcosa?

«Ora si nascondono. Ci sono cose che la legge da sola non può cambiare. E neanche le guerre. Parlare ti dà il tempo di capire che davanti hai un essere umano. A volte non funziona, ma io ho imparato ad aspettare.»

Con Amref inaugurate “Nice Place”, primo centro d’accoglienza al mondo per le donne che dicono no al “taglio”. Un bel traguardo.

«Sì, nel mio villaggio. L’avverarsi di un sogno: so che c’è un posto sicuro per loro. Non sarà solo un rifugio ma la casa delle future leader del Kenya, la prima di tante. Insegneremo anche tecnologia e imprenditoria.»

“Sangue” veicola tanti messaggi. Qual è il più importante?

«Tante ragazze vittime di abusi pensano di non poter essere niente nella vita. Desidero che sappiano che possono essere quello che vogliono. Non posso andare in ogni Stato a dirlo, ma lo può fare il mio libro.»


Il libro. Sangue di Nice Leng’ete è edito da Piemme, trad. Elena Cantoni, pagg. 250, euro 18,90


(la Repubblica, 17 ottobre 2021)

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