12 Giugno 2020
il manifesto

La scuola per infermiere e la realtà del nostro tempo

di Cristina Piccino


Cinema. «In ogni istante» di Nicolas Philibert, tra apprendistato e racconto del mondo


Vederlo oggi assume un significato ancora più potente, e anche se protagoniste sono un gruppo di allievi e allieve infermiere, che il regista segue durante il corso di formazione, le sue immagini non hanno nulla che ci possa angosciare pensando a questi mesi dei quali, peraltro, di immagini ne abbiamo molto poche. Se non quelle passate da una rete all’altra del «servizio pubblico», buone per ogni città, da Milano a Palermo, ripetute fino all’usura o utilizzate per additare «reprobi» trasgressori di qualche decreto. Queste di De chaque instant invece non gridano, sarà per questo che nonostante Nicolas Philibert le abbia girate due anni fa, sono attualissime e della sanità mostrano ciò che dovrebbe essere, svelando al tempo stesso ciò che non è in Italia e altrove, l’inadeguatezza dovuta alle economie e alle politiche nazionali che l’hanno sacrificata.

Fa bene dunque Wanted a farlo uscire ora – e vi consiglio di non perderlo – sulla sua piattaforma Wanted Zone (www.wantedcinema/wantedzone), il film di Philibert, premio a Filmmaker festival nel 2018, che in Italia ha il titolo In ogni istante, una riflessione sulla «cura», medica e non solo, esplorata, appunto, a partire dal lavoro delle infermiere. Non è però un film sulla sanità il suo ma il racconto di una formazione (protagoniste sono le allieve infermiere di Croix Saint-Simon, a Montreuil) la cui pratica passa per prove complicate, dolorose, non sempre controllabili, che mettono in gioco le emozioni, l’intimità, che riguardano la vita, la morte, il corpo in una condizione di fragilità, all’opposto di un quotidiano che lo vuole sano e funzionante.
E proprio perché Philibert mette da parte qualsiasi «buona intenzione» dogmatica («Non volevo certo fare un pamphlet») De chaque instant dice molto, e con precisione, sul nostro tempo – e sulla sanità – quasi che il suo universo chiuso riesca rispecchiarne i conflitti senza deformazione.

Philibert è un regista che sa porsi all’ascolto della realtà, e di quanto accade davanti alla sua macchina da presa, senza pretendere di imbrigliare gesti e tensioni nelle sue tesi.

È un po’ la scommessa che mette alla prova film dopo film dai tempi di Essere e avere (2002), in cui il mondo veniva colto nella classe unica di un paesino isolato della Francia, entrando in universi che nel suo sguardo divengono «dispositivi» di narrazione della realtà e di allenamento al cinema.

Commedia, umorismo, sorriso, lacrime punteggiano il racconto. E nelle parole delle insegnanti delle giovani future infermiere, quando spiegano i principi che regolano la professione basati sull’eguaglianza dei pazienti quale che sia il loro stato, condizione, sesso, religione deflagra la realtà contemporanea intera, quasi che quella professione coincida con l’orizzonte di una democrazia inclusiva contro le discriminazioni messe in opera oggi, in un progetto di smantellamento dei diritti di tutti.


(Il manifesto, 2 giugno 2020)

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