8 Luglio 2022
Internazionale

La storia è ancora dalla parte delle donne 

di Rebecca Solnit


 Quando la sentenza Roe contro Wade è stata ribaltata ero a Edimburgo, nel Regno Unito. Il giorno dopo ho preso un treno per tornare a Londra e ho fatto quello che faccio di solito all’arrivo alla stazione di King’s Cross: una passeggiata fino al vecchio cimitero di Saint Pancras per visitare la tomba di Mary Wollstonecraft, autrice di Sui diritti della donna, il primo manifesto femminista. Essere lì quel giorno significava ricordare che il femminismo non è nato di recente – Wollstonecraft è morta nel 1797 – e non si è di certo fermato il 24 giugno 2022. Negli Stati Uniti le donne hanno ottenuto questo diritto meno di cinquant’anni fa, da poco tempo rispetto al libro di Wollstonecraft. 
Negli ultimi quarant’anni ho sentito dire regolarmente che il femminismo ha fallito, che non ha ottenuto nulla e che è finito. Una tesi che non tiene conto di quanto il mondo oggi sia completamente diverso (o almeno lo era) rispetto a mezzo secolo fa. Dico mondo perché è importante ricordare che il femminismo è un movimento globale, invece la sentenza Roe contro Wade e il suo rovesciamento sono state decisioni nazionali. 
Il fatto che il femminismo debba affrontare battute d’arresto e resistenze non è né sorprendente né un motivo per arrendersi. 
L’Irlanda nel 2018, l’Argentina nel 2020, il Messico nel 2021 e la Colombia nel 2022: questi paesi hanno legalizzato l’aborto. Negli ultimi cinquant’anni per le donne sono cambiate tante di quelle cose in tanti di quei posti che sarebbe difficile elencarle tutte; oggi la nostra condizione è radicalmente cambiata, in generale in meglio. Il femminismo è un movimento per i diritti umani che si sforza di cambiare cose vecchie non solo di secoli, ma in molti casi di millenni, e il fatto che debba affrontare battute d’arresto e resistenze non è né sorprendente né un motivo per arrendersi. 
Wollstonecraft non si sognava nemmeno di chiedere il voto per le donne – neanche la maggior parte degli uomini nel Regno Unito del suo tempo avevano quel diritto – né molti altri diritti che ora consideriamo acquisiti, ma non è necessario tornare al settecento per avere a che fare con la disuguaglianza di genere. Si trova più o meno ovunque da decenni. E dal punto di vista culturale la osserviamo ancora nei tentativi di controllare le donne e nei pregiudizi sulle loro capacità intellettuali e sulla loro sessualità. Mezzo secolo fa negli Stati Uniti era legale licenziare una donna se era incinta: è successo alla senatrice Elizabeth Warren, allora una giovane insegnante. Il diritto di accesso al controllo delle nascite per le coppie sposate è stato garantito solo dalla sentenza Griswold del 1965, che questa corte suprema retrograda potrebbe anche cercare di ribaltare. L’estensione ai non sposati è stata stabilita solo nel 1972. L’Equal credit opportunity act del 1974 ha reso illegale la discriminazione in base alla quale le donne non sposate avevano difficoltà a ottenere prestiti, mentre alle donne sposate si richiedeva abitualmente, oltre alla loro firma, anche quella dei mariti. 
Nella maggior parte delle regioni del mondo, inclusi il Nordamerica e l’Europa, fino a poco tempo fa il matrimonio era un rapporto in cui, per legge e per consuetudine, il marito acquisiva il controllo sul corpo della moglie e su quasi tutto quello che lei faceva, diceva e possedeva. Il concetto di stupro coniugale non è esistito fino a quando il femminismo non l’ha introdotto negli anni settanta. Il Regno Unito e gli Stati Uniti l’hanno reso illegale solo all’inizio degli anni novanta. Il giurista inglese del seicento Matthew Hale affermava che «il marito di una donna non può essere accusato di aver stuprato sua moglie, a causa del consenso matrimoniale che lei stessa gli ha dato, e che non può ritrattare». Cioè, una donna che una volta aveva detto di sì non avrebbe mai più potuto dire di no, perché aveva accettato di essere posseduta. Per inciso, la decisione della corte suprema che revoca i diritti riproduttivi cita ripetutamente Hale, noto anche per aver condannato a morte nel 1662 due anziane vedove, accusate di stregoneria. Wollstonecraft, che aveva partecipato alla Rivoluzione francese, scriveva: «In quest’epoca illuminata il diritto divino dei mariti, come il diritto divino dei re, può essere contestato senza pericolo». Contestato, ma difficilmente superato per altri due secoli. Con il controllo, con la forza e la violenza domestica gli uomini continuano a imporre le loro aspettative di dominio e a punire l’indipendenza, mentre la destra radicale cerca di riportare le donne a una condizione d’inferiorità legale e culturale, citando la Bibbia come autorità di riferimento. 
L’ultimo decennio è stato un ottovolante di conquiste e perdite, e non c’è un modo preciso per calcolare cosa ha prevalso. Le conquiste sono state radicali, ma a volte quasi impercettibili 
Oggi la corte suprema potrebbe attaccare anche l’uguaglianza tra le persone che si sposano. Da molto tempo sono convinta che questa uguaglianza, che riguarda anche le coppie dello stesso sesso, sarebbe stata impossibile se il matrimonio non fosse stato trasformato, grazie al femminismo, in un rapporto liberamente negoziato tra pari. L’uguaglianza tra i partner costituisce una minaccia per la disuguaglianza insita nel tradizionale matrimonio patriarcale, motivo per cui – insieme all’omosessualità, ovviamente – alcuni sono così riluttanti ad accettarla. Ma non è qualcosa di totalmente nuovo: una corte suprema molto diversa da quella di oggi l’ha riconosciuta nel giugno 2015, solo sette anni fa, e Svizzera e Cile l’hanno fatto nel 2021. 
L’ultimo decennio è stato un ottovolante di conquiste e perdite, e non c’è un modo preciso per calcolare cosa ha prevalso. Le conquiste sono state radicali, ma a volte quasi impercettibili. Dal 2012 una nuova epoca del femminismo ha aperto discussioni – sui social network e i mezzi d’informazione tradizionali, nella politica e in privato – sulla violenza contro le donne e le molte forme di disuguaglianza e oppressione, legali e culturali, ovvie e meno ovvie. 
Il riconoscimento delle conseguenze della violenza sulle donne si è molto diffuso e ha prodotto risultati concreti. Il movimento #MeToo è stato deriso e considerato un circo delle celebrità, ma è stata solo una delle tante manifestazioni di un’ondata femminista cominciata cinque anni prima, che ha contribuito a imporre cambiamenti nelle norme degli Stati Uniti in materia di molestie e abusi sessuali, compreso un disegno di legge approvato dal senato a febbraio che il presidente Joe Biden ha firmato all’inizio di marzo. 
La recente condanna del cantante R. Kelly a trent’anni di carcere e i vent’anni dati a Ghislaine Maxwell, la complice di Jeffrey Epstein, sono gli effetti di un cambiamento: alcune persone che prima non avevano voce sono state ascoltate in tribunale. I colpevoli che erano riusciti a farla franca per decenni – tra cui Larry Nassar, Bill Cosby, Harvey Weinstein – hanno perso la loro impunità e le conseguenze dei loro comportamenti si sono tardivamente abbattute su di loro. Ma il destino di una manciata di uomini famosi non è quello che conta di più, e punirli non è un modo per cambiare il mondo. 
Il dibattito ormai riguarda la violenza e la disuguaglianza, le intersezioni tra razza e genere, il ripensamento del genere oltre il semplice binarismo, la libertà, il desiderio, l’uguaglianza. Anche solo parlarne è liberatorio. Vedere le donne più giovani andare al di là di quello che la mia generazione provava e diceva è esaltante. Questi discorsi ci cambiano come la legge non può fare, ci aiutano a capire noi stessi e gli altri in modo nuovo, a rivedere i concetti di razza, genere, sessualità e opportunità. 
Puoi annullare un diritto con mezzi legali, ma non puoi annullare con altrettanta facilità la fede in quel diritto. Nell’ottocento le sentenze della corte suprema sui casi Dred Scott e Plessy contro Ferguson non spinsero i neri a pensare che non meritavano di vivere come cittadini liberi, gli impedì semplicemente di farlo in termini pratici. In molti stati americani le donne hanno perso l’accesso all’aborto, ma non la fiducia nel loro diritto ad averlo. L’indignazione provocata dalla sentenza della corte ci ricorda quanto è impopolare la sua decisione.

Questa è una perdita enorme. Non ci riporta al mondo prima di Roe contro Wade, perché in termini sia teorici sia pratici la società statunitense è cambiata. Le donne ormai possono accedere all’istruzione, al lavoro, alle istituzioni e alla rappresentanza politica. Crediamo molto di più in questi diritti e abbiamo un’idea più chiara di che cos’è l’uguaglianza. Il fatto che le cose siano cambiate così radicalmente rispetto al 1962, per non parlare del 1797, è la prova che il femminismo sta funzionando. Ma la terribile decisione della corte suprema ci conferma che c’è ancora molto lavoro da fare.


(Internazionale, n. 1468, 8 luglio 2022)

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