di Pinella Leocata
Un 25 novembre “di rabbia e di coraggio” in memoria di Vanessa Zappalà, la ragazza trucidata dall’ex fidanzato mentre passeggiava per strada ad Acitrezza. Per celebrarlo le associazioni La Ragna-Tela, UDI, La Città Felice, Comitato Popolare Antico Corso, Sunia Sicilia, Iniziativa Femminista, Sezione Olga Benario PCI, La Comune, Animal Theatron, Anpi Catania, ProMueveRD, Rivoluzione Materna e Generazioni Future hanno organizzato, nella sede della Cgil, un convegno sui vari e sempre nuovi modi in cui si esprime la violenza sulle donne, sui loro corpi, sulla loro soggettività.
A introdurre l’incontro Anna Di Salvo che ha affrontato i tanti, complessi e aggrovigliati nodi che segnano “Il filo nero della violenza” – il titolo dato al convegno – a partire da quello, terribile e in costante crescita, del femminicidio e della violenza sessista psicologica maschile nei confronti delle donne e delle bambine. E sono nodi da affrontare e da sciogliere anche quello dello stravolgimento del linguaggio con cui si cerca di cancellare la differenza sessuale e lo stesso termine donna, quasi a nasconderne e negarne la potenza generativa, e quello del linguaggio misogino dei mass media. Ed è violenza quella del fenomeno della vendetta attraverso la pubblicazione di immagini e video intimi della ex compagna, e quella del rifiuto dei medici di rispettare la legge sull’interruzione di gravidanza presentandosi, per il 70%, come obiettori di coscienza. Violenza è quella per cui donne in condizioni di bisogno vengono spinte a vendere il proprio utero, a darlo in affitto, come fossero meri contenitori. Violenza è considerare la prostituzione un lavoro come un altro, da regolamentare, mentre è mercificazione, spesso forzata, del corpo delle donne.
Tutti nodi da sciogliere intrecciando reti e relazioni significative nella consapevolezza della complessità di questo percorso di fuoriuscita dalla millenaria cultura patriarcale che coniuga potere e violenza. In questa prospettiva – come ha sottolineato José Calabrò – essenziale è il compito della scuola di educare alla gestione non violenta dei conflitti facendo sperimentare come esiste un’aggressività positiva che può andare insieme con la ragione. Ed essenziali sono i centri antiviolenza a supporto delle donne che vogliono liberarsi da partner violenti e svalutanti. Se il 65% delle donne che subiscono violenza non denuncia è per la vergogna di rivelare di essere vittime del compagno o marito e perché non hanno sponde su cui contare. Il centro antiviolenza Thamaia – che opera a Catania da 20 anni garantendo anonimato, riservatezza e gratuità del servizio, e cui si rivolgono ogni anno oltre 250 donne – va avanti senza finanziamenti stabili, contando sulla propria partecipazione ai progetti nazionali e regionali. Ma – come ha denunciato la presidente di Thamaia Anna Agosta – gli ultimi bandi del Dipartimento della Pari Opportunità risalgono al 2017, il bando nazionale antiviolenza è appena stato pubblicato con oltre un anno di ritardo, né la Regione ha pubblicato quello a sostegno dei centri antiviolenza con i fondi nazionali della Conferenza Stato-Regione, eppure quelle ipotetiche somme, 20.000 euro, Thamaia le ha già anticipate e spese perché per legge bisogna rendicontarle entro ottobre. Inoltre il centro non può contare neppure su una sede messa a disposizione dall’amministrazione o dallo Stato, magari in uno dei beni confiscati alla mafia. Per questo Thamaia può assicurare il servizio di accoglienza telefonica per sole 16 ore settimanali ed è costretta a fissare gli appuntamenti in presenza dopo un mese, un tempo lunghissimo per chi è a rischio.
A essere denunciata è anche la violenza istituzionale, quella per cui – come spiega Anna Consoli delle associazioni “Movimentiamoci” e “Maternamente” – si impone, attraverso la legge dell’affido condiviso, la bigenitorialità, cioè tempi uguali di permanenza dei figli da madri e padri separati, anche in presenza di violenze domestiche. Che significa che “anche i padri violenti sono considerati buoni padri”. Viene denunciato anche l’uso che viene fatto della psicologia forense, il prelievo coatto dei figli e il business delle case-famiglia in cui sono ricoverati, con un costo di 400 euro al giorno, i bambini sottratti alle madri. Di qui la campagna “Rivoluzione materna”, i presidi davanti le Procure, la richiesta dell’immediato blocco dei prelievi forzati dei bambini e dell’abolizione dell’affido condiviso.
Infine Yanela Grano De Oro Ramírez ha ricordato la storia delle sorelle domenicane Mirabal, “le Farfalle”, oppositrici della dittatura di Rafael Trujillo, torturate, violentate e uccise il 25 novembre 1960 per la loro lotta per la democrazia. Un eccidio che risvegliò le coscienze nella Repubblica Domenicana e portò, pochi mesi dopo, alla caduta del dittatore. In loro onore l’Onu, nel 1999, indicò il 25 novembre come “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”.
(La Sicilia, 26 novembre 2021)