di Luca Kocci
All’indomani dell’Angelus di domenica a san Pietro con il quale papa Francesco si è rivolto a Putin («fermi, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte»), a Zelensky («sia aperto a serie proposte di pace») e alla comunità internazionale (faccia il possibile «per porre fine alla guerra in corso, senza lasciarsi coinvolgere in pericolose escalation»), dalla Santa sede, attraverso un editoriale del direttore del dicastero per la comunicazione Andrea Tornielli (il “ministro della comunicazione” del Vaticano), arriva una sorta di interpretazione autentica delle parole del pontefice.
Non spetta solo a Putin e a Zelensky, ma anche ad altri – capi di Stato e di governo, organizzazioni internazionali – «chiedere con forza il cessate-il-fuoco e promuovere iniziative di dialogo per far prevalere quelli che papa Francesco chiama “schemi di pace”, invece di continuare ad applicare “schemi di guerra” rimanendo succubi di una folle corsa al riarmo che sta archiviando le speranze di un ordine internazionale non più basato sulla legge del più forte e sulle vecchie alleanze militari», scrive Tornielli in un editoriale pubblicato ieri sui media vaticani. «Da quel 24 febbraio che ha segnato l’inizio della guerra con l’invasione russa dell’Ucraina, tutto è sembrato precipitare come per inerzia, quasi che l’unico esito possibile fosse la vittoria di uno sull’altro».
Il modello a cui richiamarsi – a cui ha fatto riferimento lo stesso Bergoglio – sono invece gli accordi di Helsinki del 1975, «che segnarono una significativa svolta per l’Europa attraversata dalla cortina di ferro e per il mondo diviso in due blocchi».
La preoccupazione del papa – forse attualmente l’unico leader mondiale a parlare davvero di pace – è crescente. Lo dimostra, come rilevato da diversi osservatori, che il precedente di un Angelus interamente dedicato all’attualità politica internazionale risale al 2013, quando sembrava imminente un bombardamento Usa sulla Siria. E che i toni di Bergoglio di domenica ricordino quelli di Roncalli di sessant’anni fa, durante la crisi dei missili a Cuba. «L’umanità si trova nuovamente davanti alla minaccia atomica», ha detto Francesco all’Angelus. «Dopo sette mesi di ostilità, si faccia ricorso a tutti gli strumenti diplomatici, anche quelli finora eventualmente non utilizzati, per far finire questa immane tragedia. La guerra in sé è un errore e un orrore!».
L’analisi della situazione da parte del pontefice resta complessa («bisogna indagare la dinamica che ha sviluppato il conflitto», «non si può essere semplicisti»). Lo conferma il contenuto del colloquio fra Bergoglio e i gesuiti della regione russa che si è svolto a metà settembre, durante il viaggio del papa in Kazakhstan, pubblicato sabato dalla Civiltà Cattolica.
«È in corso una guerra e credo sia un errore pensare che sia un film di cowboy dove ci sono buoni e cattivi» e «che questa è una guerra tra Russia e Ucraina e basta. No: questa è una guerra mondiale», ha detto il pontefice. Il quale, pur ribadendo che «la vittima di questo conflitto è l’Ucraina» (ha subito un’«aggressione inaccettabile, ripugnante, insensata, barbara, sacrilega»), ha sottolineato che la parola chiave del conflitto è «imperialismo»: la Nato è «andata ad abbaiare alle porte della Russia senza capire che i russi sono imperiali e temono l’insicurezza ai confini». Dunque «io vedo imperialismi in conflitto. E, quando si sentono minacciati e in decadenza, gli imperialismi reagiscono pensando che la soluzione sia scatenare una guerra».
(il manifesto, 4 ottobre 2022)