10 Ottobre 2018
il manifesto

L’anima del «progetto Riace» è nella storia di donne coraggiose

di Francesco Cirillo

La Comune di Riace. Lemlem, coinvolta nell’inchiesta, è una mediatrice culturale in fuga dalla guerra

Le donne immigrate di Riace le abbiamo conosciute tutte, abbiamo giocato con i loro figli, ne abbiamo ascoltato le storie: terribili, fatte di violenze, torture, fughe. Racconti che ad ascoltarli fanno rabbrividire. Ogni donna è un libro a sé nella vasta biblioteca umana di Riace, e sono queste vite che hanno reso forte il borgo jonico e il progetto del sindaco Mimmo Lucano.

Queste storie fanno paura, nei talk show televisivi abbiamo sentito parlare di tutto: dei soldi, della sporcizia, degli asini, dei matrimoni, ma mai delle donne, di quelle ragazze che abbiamo visto sfilare sabato sotto la casa di Mimmo. Nessuno ha chiesto chi sono e come siano arrivate fin qui. Lemlem, coinvolta dal procuratore nell’inchiesta “Xenia”, è stata presentata in modo subdolo come la “compagna” di Mimmo Lucano, e data in pasto ai rotocalchi in cerca di scandali facili in totale violazione della privacy. La donna è stata ingiustamente allontanata da Riace come se fosse una delinquente, mentre membri della ’ndrangheta circolano liberamente in città rilasciando interviste. Lemlem è una mediatrice culturale, parla cinque lingue anche se non ama apparire in pubblico per sua riservatezza.

Senza di lei il «progetto Riace» avrebbe incontrato serie difficoltà, perché è lei la prima persona con la quale le donne che arrivano parlano. Molte raccontano il viaggio sostenuto, dove hanno subito violenze di ogni genere, ottenendo subito un ascolto, sostegno morale e materiale, difficile da trovare nei centri di accoglienza tanto cari al Ministro Salvini. Per questo suo ruolo nella comunità di Riace Lemlem è stata oggetto, da parte dei nemici del sindaco Lucano e delle sue politiche, di una vera e propria macchina del fango. È noto che le donne facciano paura a chi è omofobo, misogino, xenofobo, figuriamoci poi se la donna è nera e soprattutto intelligente.

L’estate scorsa su un tavolo nella piazzetta del Villaggio globale c’era un quaderno dove si raccoglievano firme in solidarietà a Mimmo. Veniva lasciato su un tavolo e tutti coloro che entravano nella piazzetta di Donna Rosa, vi lasciavano la propria firma e frasi di solidarietà e incoraggiamento per Mimmo. Una mattina il quaderno è stato trovato imbrattato da scritte contro Lemlem, frasi che apostrofavano la donna con insulti beceri e sessisti. Lemlem si è rifiutata di leggerlo. Questa donna esile e forte, ha portato con sé, nel suo drammatico viaggio di fuga dall’Etiopia in guerra, due figli, uno di pochi anni, l’altra in grembo. Ha attraversato con un barcone il Mediterraneo, lasciandosi alle spalle una storia drammatica, che passa per la traversata del deserto libico e per il rapimento subito da parte di criminali che sequestrano migranti in fuga per chiedere il riscatto alle loro famiglie.

Queste donne, Lemlem, Abeba, come tutte le donne che vivono a Riace, dovrebbero ricevere il massimo rispetto da tutti, perché rappresentano, assieme ai loro bambini, il vero disastro che popoli interi stanno vivendo. Anche le donne riacesi hanno dato un contributo fondamentale al «progetto Riace». Cosimina, Annamaria, Maria, Caterina. Rappresentano l’anima della cittadina e senza di loro, l’idea di Mimmo non si sarebbe mai realizzata.

(il manifesto, 10 ottobre 2018)

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