29 Aprile 2023
Il Fatto Quotidiano

L’antifascismo nel 2023 è dire di no alla guerra

di Ipazia


Non si può che restare perplessi di fronte alle polemiche suscitate dalle commemorazioni del 25 Aprile. La ricostruzione storica non dovrebbe dare adito a dubbi. La data segna la Liberazione dell’Italia dal regime fascista e dall’occupazione dei tedeschi.

La Costituzione italiana è una costituzione antifascista. In essa ritroviamo una sintesi mirabile dei valori delle famiglie politiche, dai democristiani ai liberali, ai socialisti e ai comunisti, che si erano unite nel contrasto al fascismo. Una mediazione “alta” tra principi diversi come raramente se ne vedono in Europa dove i compromessi al più basso denominatore comune rischiano di smarrire per strada le riforme di cui l’Ue necessita.

Il problema non dovrebbe pertanto essere rappresentato dall’interpretazione di un fatto storico ormai accertato, che dovrebbe essere parte della nostra memoria collettiva. La sfida da cogliere è invece riposta nella definizione dell’eredità che ci è stata lasciata dall’antifascismo e della nostra capacità di farla vivere.

L’antifascismo va misurato come affermava Pasolini nel vissuto di una società. Dovremmo chiederci se l’abolizione della violenza non solo fisica ma anche morale quale strumento di potere sia stata debellata. Se nel discorso politico non si alimenti l’odio verso un presunto nemico, peraltro mutevole. Se la libertà di stampa e di pensiero sia pienamente rispettata. Se la tolleranza verso le minoranze e le loro posizioni esista realmente o ci siano costanti tentativi di stigmatizzare il dissenso. Bisognerebbe domandarsi se il discorso razionale prevale sulla demagogia e sull’appello populistico all’istinto e alle emozioni dei popoli. Se il nazionalismo vissuto a livello di patria o di appartenenza al mondo occidentale torni a giustificare posizioni politiche e pregiudizi.

Si hanno motivi fondati per credere che purtroppo un esame onesto della situazione politica e culturale prevalente oggi in Europa porrebbe in evidenza che la mentalità fascista, prima descritta e secondo i parametri indicati, resiste e si è accresciuta nei tempi più recenti, raggiungendo livelli sconcertanti dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina.

È stato da alcuni smentito che Pasolini negli anni Settanta avesse previsto che un nuovo fascismo avrebbe finto di contrastare il vecchio, eppure l’affermazione è consona a un sistema di pensiero che l’intellettuale aveva delineato con la sua critica al consumismo e alla omologazione. Nei suoi tanti scritti aveva descritto la dittatura che si stava costruendo attraverso l’uniformità dei modelli, l’edonismo materialista, il linguaggio povero e standardizzato dei mass media, la distruzione della cultura. Un regime subdolo che si insinua nelle case senza farsi notare, senza repressione, al contrario incoraggiando i comportamenti ludici delle persone, il piacere consumistico. A prescindere dall’estetismo pasoliniano che ha reso forse eccessive alcune sue analisi, è tuttavia da riconoscere la lucidità con la quale il poeta aveva intuito sviluppi che si sarebbero mostrati decenni dopo la sua morte.

Ritornando alle celebrazioni del 25 Aprile appare sorprendente che nessuna forza politica di destra come di sinistra si sia voluta cimentare in un onesto esame di coscienza. Tutti hanno imitato chi è in grado di commuoversi a teatro per l’eroe perseguitato dal conformismo sociale e dal potere per poi ritornare, alla fine della rappresentazione teatrale, cieco e ignaro, ai pregiudizi sociali e politici, alla persecuzione dell’innocente di turno (Assange e Naval’nyj).

È un vizio dell’umanità, la scissione della morale. I nazisti ascoltavano Wagner, avevano il senso della bellezza e la cultura, abbracciavano sereni i loro bambini in famiglia dopo aver trucidato gli ebrei nel campo di concentramento. Il paragone va naturalmente inteso con le dovute proporzioni. Oggi dopo aver tutti insieme celebrato il Venticinque Aprile, si ritorna a stigmatizzare il dissenso e le posizioni minoritarie, si inneggia alle vittorie militari degli ucraini in campo di battaglia quale avamposto dell’Occidente, si demonizza l’avversario politico alimentando l’odio, si distrugge la libertà di stampa censurando come disinformazione le posizioni diverse dalla narrativa occidentale, si ricorre alla retorica per far presa sulle emozioni delle persone, si rifiuta il discorso razionale e la ricostruzione storica degli accadimenti con l’arroganza e la presunzione di chi si considera parte di una civiltà superiore.

I molteplici interrogativi che tanti osservatori pongono alla strategia occidentale restano senza risposta. Le élite al potere in Europa si trincerano dietro frasi stereotipate, veri e propri slogan, privi di ogni logica. «La guerra non può finire con la sconfitta dell’Ucraina! Resteremo al fianco dell’Ucraina non importa a quale prezzo! La vittoria sul campo non è vicina né possibile! Ci si augura che il buon senso prevalga e si arrivi alla pace!»… Una commedia surrealista con frasi gettate al vento che farebbero ridere se gli eventi non fossero drammatici.

Una politica antifascista dovrebbe rendere conto alla società civile europea spiegando quali siano i veri obiettivi strategici di una guerra che sta portando alla distruzione dell’Ucraina, alla crisi economica e sociale in Europa, al rischio di allargamento del conflitto e di utilizzo del nucleare tattico.


(Il Fatto Quotidiano, 29 aprile 2023)

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