26 Luglio 2023
Avvenire

Le Chiese in ascolto delle donne. «Va superato il linguaggio sessista»

di Laura Caffagnini


Alla sessione di formazione ecumenica del Sae (Segretariato attività ecumeniche) ad Assisi si sta dipanando una ricca trama di fili per comporre il sogno di chiese inclusive di donne nuove e uomini nuovi, tema della 59ª edizione. 

Lunedì, nel panel con Debora Spini e Lucia Vantini, si è parlato di questo tempo di cambiamento osservando le sue crisi (Spini) e invitando ad ascoltare le voci delle donne, cariche di una sapienza essenziale che può orientare le trasformazioni in atto verso un mondo ospitale verso le differenze (Vantini). 

Ilenya Goss e Roberto Massaro hanno presentato un lavoro condiviso sull’umano plurale in confronto con la Scrittura e con le sollecitazioni del presente, secondo un approccio ermeneutico attento alle diverse voci e un approccio teologico circolare.

La tavola rotonda, ieri, ha preso in esame la domanda “Come parliamo di Dio?” nella ricerca di uscire dal linguaggio sessista che ha caratterizzato anche il cristianesimo.

«Le nostre tradizioni non sono state capaci di custodire questa varietà e ricchezza», ha detto Simone Morandini. Per Lidia Maggi, «la riflessione sul linguaggio riguarda tutto il simbolico che la grammatica e la lingua mettono in scena. Non esiste un modo neutro di dire Dio, il maschile inclusivo in realtà esclude. Quando una parte della comunità non si sente accolta e riconosciuta nel modo di dire Dio, in come lo proclamiamo, l’unità è infranta». 

Una voce altra nell’agenda aperta nel panel è quella di Vladimir Zelinsky che ha affermato con pacatezza che il problema della lingua per dire Dio nell’ortodossia non esiste, mentre nella società occidentale c’è la volontà di processare il passato, anche il linguaggio religioso. Gli ortodossi sentirebbero il cambio di linguaggio come il tradimento di una tradizione bimillenaria. Inoltre, mentre il pensiero teologico occidentale si è aperto ai diritti umani, ha continuato Zelinsky, non c’è questo concetto nella tradizione ortodossa, l’uomo non ha diritti davanti a Dio».

La questione del linguaggio su Dio è estremamente complessa – ha osservato Marinella Perroni –. Da un libro del 1995, “Le donne dicono Dio. Quale Dio dicono le donne? E Dio dice le donne?» ha sviluppato il suo intervento. «Io credo che si può dire che Dio ha il volto di chi lo racconta. Il Dio biblico è il Dio che si consegna ai linguaggi e alle narrazioni e alla successione delle epoche storiche. La Rivelazione dice che Dio non esiste al di fuori del suo dirsi, ma il suo dirsi è all’interno dei linguaggi degli uomini e delle donne che ne hanno fatto esperienza. Dio è di chi lo dice o di chi gli dà le parole per dirsi. La Bibbia è una raccolta di parole, silenzi, pensieri e azioni di uomini e donne che hanno permesso a Dio di dirsi». La teologa riprendendo il brano di Giovanni 4 nel quale Gesù dice “donna” alla donna accusata di flagrante adulterio, osserva che è difficile supporre che fosse stata colta solo lei in flagrante adulterio e quindi è evidente che al centro c’era la pretesa di affermare il diritto di proprietà sulle donne, criticata da Gesù. Il mito delle figlie di Eva persiste, continuano femminicidi e stupri. Le donne sono imputate permanenti e riconosciute sempre come causa prima. «Il Cristo giovanneo che dice “donna” ha ancora molto da insegnare alle nostre chiese e alle società che esse hanno contribuito a forgiare. Sento pressante, rispetto al nostro dire Dio con le parole i gesti e le scelte, spesso scelte e silenzi sessisti, il monito di Gesù: voi siete obbedienti più alle tradizioni dei padri che al comando di Dio».


(Avvenire, 26 luglio 2023)

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