5 Aprile 2022
El Diario

Le clausole contrattuali dell’affitto dell’utero: chi paga ha diritto a mantenere viva la gestante in caso di morte cerebrale

di Alberto Pozas


La corte suprema spagnola attacca l’utero in affitto: “Le madri e i bambini sono trattati come semplici merci”


Due donne sottoscrivono un contratto a Tabasco, nel Golfo del Messico. Una di loro viene definita “futura madre” e l’altra “gestante surrogata”; il contratto implica che la seconda si trasformi in un utero in affitto al servizio della prima. Sette anni dopo il Tribunal Supremo (equivalente alla Corte di Cassazione italiana, Ndt) ha stabilito il futuro del bambino nato da questo contratto, che vive in Spagna da allora: non può essere iscritto all’anagrafe come figlio della “futura madre”, ma può essere da lei adottato.

La sentenza riporta le clausole di un contratto, sottoscritto in questo caso tramite l’agenzia México Subrogacy, clausole che raramente vengono alla luce: l’accordo vieta per sempre alla gestante di contattare il bambino, la obbliga ad accettare di non avere rapporti sessuali e a sottoporsi a qualsiasi esame medico le sia richiesto e, addirittura, mette la sua vita in mano della committente pagante se, per esempio, entrasse in stato di morte cerebrale. Sarà quest’ultima a decidere se morirà o se sarà mantenuta in vita fino a che il feto sia pronto a nascere.

  1. Supporto vitale. La clausola 14.B del contratto illustra ciò che accade in caso la gestante soffra di una malattia o subisca una lesione “potenzialmente letale”, come per esempio la morte cerebrale. In questo caso, secondo il contratto «la futura madre ha diritto di mantenerla in vita con un supporto vitale medico, con l’obiettivo di salvaguardare il feto finché il medico curante non riterrà che sia pronto alla nascita». Le spese mediche del supporto vitale, si specifica, sono a carico della “futura madre”.
  2. Consegna del bambino. La gestante sottoscrive diverse clausole che la obbligano a consegnare il bebè alla nascita e a rinunciare a saper più niente di lui. Questa è l’ottava clausola: «Non avrà, né tenterà di avere relazioni con il bambino […] rinuncia a tutti i suoi diritti di madre legittima del bambino e collaborerà a tutti i procedimenti legali necessari a dichiarare madre legittima del bambino la futura madre».
  3. Astinenza sessuale e divieto di viaggiare. Il contratto precisa anche quale debba essere la condotta della gestante durante la gravidanza. Per esempio, deve mantenere «una prolungata astinenza dai rapporti sessuali, astenersi da tatuaggi, piercing e interventi di chirurgia estetica». Non potrà neppure uscire dal Messico né dalla città di residenza, né cambiare domicilio. Avrà soltanto un permesso massimo di quattro giorni condizionato a «un’autorizzazione scritta della futura madre per recarsi in un’altra città in caso di estrema urgenza».
  4. Esami medici e test psicologici. Un’altra delle clausole obbliga la “gestante surrogata” a sottoporsi a ogni tipo di esame medico su richiesta della “futura madre” prima e durante il processo di fecondazione in vitro e include anche gli eventuali «test psicologici». La donna, inoltre, «rinuncia a tutti i suoi diritti in termini di privacy sanitaria e psicologica, permettendo agli specialisti che la valuteranno di condividere i suddetti risultati con la futura madre».
  5. Rapporti settimanali e test antidroga. Il contratto contiene altresì l’obbligo a carico della madre gestante di informare la committente, con periodicità settimanale, sull’avanzamento della gravidanza. Inoltre accetta di sottoporsi a prove a campione per testare il consumo di droghe, alcool o nicotina.
  6. Costa di più se sono gemelli. La parte del contratto citata dalla corte suprema nella sua sentenza non riporta quanto denaro riceva la gestante per affittare l’utero. Ma precisa che, in caso di gravidanza gemellare, riceverà 6.000 dollari in più.
  7. Aborto. Varie clausole del contratto regolano anche la possibile interruzione di gravidanza. «La futura madre non potrà imporre di interrompere la gravidanza, tranne che per salvaguardare la vita della gestante surrogata», dice il contratto, e non verranno selezionati i feti in caso di gravidanza gemellare. La gestante, inoltre, accetta di sottoporsi ad aborto esclusivamente in caso che un medico certifichi che la sua salute è in pericolo. Precisa inoltre: «La futura madre sarà responsabile del bambino nato da questo contratto, che sia sano o meno».

Le clausole citate portano la corte suprema spagnola a ritenere che questo contratto contrasti con i diritti sia della donna gestante, sia del bebè. La donna che firma, spiega, accetta di sottoporsi a «un trattamento inumano e degradante che lede i suoi più elementari diritti all’intimità, all’integrità fisica e morale, a essere trattata come persona libera e autonoma dotata della dignità propria a ogni essere umano». Tutto questo ha avuto luogo a Tabasco, località messicana in cui, secondo un’inchiesta di El País del 2017, c’erano «interi quartieri» in cui le donne facevano figli «per stranieri», finché il governo non ha imposto limitazioni all’affitto dell’utero.

I giudici non nascondono, inoltre, il sospetto che le donne che accettano questi contratti non si trovino in condizione di scegliere. «Non ci vuole un grande sforzo d’immaginazione per farsi un’idea precisa della situazione economica e sociale di vulnerabilità in cui si trova una donna che accetta», dicono.

“Pure e semplici merci”

La maternità surrogata è proibita in Spagna. L’articolo 10 della legge sulle Tecniche di Riproduzione Assistita emanata nel 2006 non lascia molti margini di interpretazione: «Sarà considerato nullo a tutti gli effetti il contratto con il quale si pattuisca la gestazione, con o senza compenso, a carico di una donna che rinuncia alla filiazione materna a favore del contraente o di una terza parte», recita. Anche l’articolo secondo si pronuncia sulla filiazione dei bambini nati da affitto dell’utero: «Sarà determinata dal parto», precisa. E inoltre il padre biologico ha diritto di rivendicare la paternità.

Le famiglie che decidono di fare ricorso a questa tecnica attraverso un’agenzia o con un contratto di mediazione, pertanto, lo fanno in paesi dove è permesso e poi portano in Spagna i bambini, avviando una battaglia legale su filiazione e nazionalità. Alcuni bambini vengono registrati direttamente nei consolati. Quando il contenzioso legale arriva all’ultimo grado di giudizio con sentenza definitiva, i bambini coinvolti hanno in genere più di cinque anni e i giudici devono prendere una decisione. Lo spiega il Tribunal Supremo«Il bambino nato all’estero frutto di una gestazione per altri, nonostante le norme e le convenzioni citate, entra in Spagna senza problemi e finisce per essere integrato in un dato nucleo familiare per un periodo prolungato».

Nel caso di questo bambino nato in Messico da un utero in affitto, i giudici negano l’iscrizione all’anagrafe ma raccomandano che sia apra un procedimento di adozione. «La strada per ottenere la determinazione della filiazione è quella dell’adozione», dice la sentenza.

Questa risoluzione della corte suprema mette in chiaro cosa pensano i giudici dell’utero in affitto. Donne e bambini sono trattati «come pure e semplici merci», scrivono. I contratti di questo tipo, inoltre, «ledono i diritti fondamentali sia della donna gestante, sia del bambino gestato, e pertanto sono manifestamente contrari al nostro ordine pubblico». Il desiderio di avere un figlio, sentenzia la corte, «per nobile che sia non può realizzarsi a spese dei diritti di altre persone. Un contratto di gestazione surrogata comporta lo sfruttamento di una donna e un danno al superiore interesse del minore».

Pubblicità e impunità

Non è l’unica rimostranza della corte suprema spagnola. I magistrati della sezione civile spiegano che, nonostante il divieto sia chiaro, l’impunità delle agenzie che traggono profitti dall’utero in affitto è un dato di fatto. Queste agenzie, denuncia la corte, «agiscono senza trovare nessuno sbarramento nel nostro paese e fanno pubblicità alla loro attività» nonostante la legge generale sulla pubblicità proibisca ogni forma di promozione «che attenti alla dignità della persona». Ci sono fiere in cui si pubblicizza in tête-à-tête l’utero in affitto e per giunta, ricorda la corte suprema, «si pubblicano frequentemente notizie su personaggi famosi che dichiarano che porteranno in Spagna un “figlio” frutto di maternità surrogata, senza che le autorità competenti per la protezione del minore adottino provvedimenti».

Perché secondo la corte suprema il presunto interesse del minore a essere iscritto all’anagrafe non coincide con l’insieme dei dritti del bambino, che restano inapplicati: non viene neppure comprovata l’idoneità dei committenti, recriminano i giudici. La magistratura, in questo caso, aggiunge un altro richiamo: si nega al bambino il diritto riconosciuto dalla legge del 2006 di conoscere le proprie origini, di sapere chi sono suo padre e sua madre biologici. Il Comitato di Bioetica spagnolo, organismo indipendente, considera un’incoerenza che esista una normativa così chiara ma che, al tempo stesso, «nella prassi non esista alcun ostacolo a riconoscere il frutto di una maternità surrogata commerciale in cui sono stati lesi i più elementari diritti della madre gestante e del bambino, purché questa abbia avuto luogo all’estero», ricorda la corte.

Secondo i magistrati l’interesse del minore non concede carta bianca in questo tipo di azioni legali. Nel 2014 i giudici, nella sentenza definitiva su un caso di utero in affitto, affermarono: «La protezione dei minori non si può ottenere accettando acriticamente le conseguenze del contratto di gestazione per altri». E formulavano un’ipotesi: accettare questa argomentazione metterebbe persone «di paesi sviluppati, in buone condizioni economiche» in condizione di procurarsi un bambino «proveniente da famiglie disfunzionali o da ambienti problematici di zone depauperate».

Non esistono dati ufficiali pubblici su quanti bambini registrati all’anagrafe in Spagna siano nati da utero in affitto. Testate come El País e ABC hanno ricavato delle cifre da risposte a interrogazioni parlamentari e consultazioni del portale della trasparenza: la Spagna ha accettato 948 iscrizioni in uffici consolari e rappresentanze diplomatiche tra il 2010 e il 2017 e altre 1.410 tra il 2017 e il 2020. Secondo questi dati, tra il 2010 e il 2016 la maggior parte di quei bambini venivano, tra gli altri paesi, da Stati Uniti (553), Ucraina (231), India (97) e Messico (51).


(El Diario, 5 aprile 2022, traduzione di Silvia Baratella)


Versione originale:


https://www.eldiario.es/politica/clausulas-vientres-alquiler-paga-derecho-mantener-viva-gestante-muerte-cerebral_1_8891470.html

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