3 Marzo 2021
La Sicilia

Le costrizioni da Covid e l’opportunità di creare delle città “diverse”

di Pinella Leocata


Il Covid ha stravolto le nostre vite facendoci sperimentare la precarietà e la difficoltà degli incontri e ha messo in luce i guasti provocati dal sistema patriarcale capitalistico – che ha creato le premesse del disastro ecologico e della pandemia che attraversiamo – e gli enormi limiti del modo in cui sono state costruite le nostre città. Questioni centrali per affrontare il dopo pandemia di cui si è discusso nel corso dell’incontro on line promosso da “La Città Felice” di Catania, con la partecipazione delle donne delle “Città vicine” di Milano e di Napoli, sul tema “Nuova vita a spazi e relazioni per la città post Covid”.

Un incontro che ha preso avvio dalla consapevolezza della necessità di superare l’attuale modello di città creato con la rivoluzione industriale e con l’avvento della macchina. Una città progettata essa stessa come una macchina e dove – come ha spiegato Bianca Bottero del Politecnico di Milano – s’impone una visione illuministica che ne esalta quattro funzioni – abitare, lavorare, svagarsi e circolare – pensate come separate l’una dall’altra. Una visione urbanocentrica in cui scompaiano sia la complessità sociale, sia la ricchezza individuale, così come il rapporto con la campagna. “Un vulnus che la città moderna ha inflitto alle nostre vite” e che, nel Dopoguerra, si è tradotto in una speculazione immobiliare avida e predatoria. Un modello in cui l’abitare è stato pensato come una monade nella quale ogni nucleo familiare è isolato. Circostanza di cui il Covid ci ha reso drammaticamente consapevoli.

Di qui l’importanza di trasformare questo periodo di profonda tristezza in un’occasione per riflettere sui grandi temi del vivere e della città, a partire dalla socialità, dalla sicurezza e dalle relazioni. Aspetti – come ha sottolineato Mirella Clausi della Città Felice nell’introdurre l’incontro – messi in contrapposizione durante la pandemia, ma che “possono andare di pari passo se le città assumono un altro sguardo su di sé e se sapremo ridisegnarle a partire dal nostro sentire e dal nostro desiderio”. Un cambiamento di prospettiva complesso che si può ricondurre ad un unico denominatore, quello della “cura delle città e delle persone che ci vivono”. In questa prospettiva il pensiero e la politica delle donne sono preziosi perché da tempo hanno sperimentato la pratica di connettere le azioni senza che il piccolo sia annullato nel grande e il particolare nel generale. E sono state le donne, come abbiamo sperimentato in questa lungo periodo di pandemia – e lo ha ricordato Anna Di Salvo della Città Felice – a riscoprire i cortili, gli androni, le terrazze, le piazze, i giardini e tutti gli spazi verdi come luoghi di incontro e di socialità. E sono loro a giocare un ruolo importante nel contrastare le crescenti discriminazioni sociali e umane, come quelle contro i migranti, e a battersi per il riuso a fini comuni degli immobili abbandonati, come a Catania avviene per i tre grandi ospedali dismessi e per l’uso della costa. “Possiamo ripensare i servizi partendo dall’abitare – ha sottolineato Giusi Milazzo della Città Felice – realizzando case sociali per chi ne ha bisogno, scuole, verde, botteghe artigiane, e recuperando le periferie”. Proposte che si scontrano con le scelte delle istituzioni.

Le donne – con le parole di Nadia Nappo delle Città Vicine di Napoli – propongono modi per migliorare la vita nelle città e si candidano a ricostruirle come “un paesaggio di cura” che tenga conto della complessità. Ma per farlo “c’è bisogno di spazi dove riunirsi per capire che sta succedendo e questo può avvenire nei beni comuni, cioè negli spazi di tutti, luoghi dove non c’è possesso, né controllo, ma la comunità nella dissimiglianza”. Di qui l’impegno a dare alle città regolamenti per l’uso dei beni comuni (Giusy Clarke Vanadia del Comitato Rodotà per i Beni comuni), e a lavorare sulla dimensione della cura tra le persone e tra le diverse generazioni. Obiettivo che richiede la costruzione di relazioni e di reti, a partire dal luogo centrale che è la scuola. Questo vuol dire valorizzare la solidarietà, che invece da anni è criminalizzata (Katia Ricci, e Floriana Lipparini della Casa delle donne di Milano) e rimettere in discussione sia la paura che ha preso il sopravvento nelle relazioni quotidiane sia lo smantellamento dei diritti sociali – a partire dalla privatizzazione della sanità, della scuola e dei trasporti – i cui danni abbiamo sperimentato con l’arrivo del Covid (Nino De Cristofaro dei Cobas Scuola).

E significa prendere atto anche delle opportunità rivelate dalla pandemia, come la riscoperta dei rapporti di vicinato e la voglia di espandere gli spazi pubblici della città, a partire dal verde (Giuseppe Rannisi della Lipu e Maria Castiglioni delle Città Vicine di Milano). Ed anche, come invita a fare Nunzia Scandurra, riconoscere che dobbiamo al Covid l’averci fatto capire “i limiti dell’individualismo in cui abbiamo vissuto”.


(La Sicilia, 3 marzo 2021)

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