11 Marzo 2022
Il Quotidiano del Sud

Le donne la guerra e la pace

di Franca Fortunato


«Dove ci conduce il corteo dei figli degli uomini colti?» chiedeva alle donne Virginia Woolf nel suo saggio Le tre ghinee, scritto nel 1938 in risposta a uno scrittore suo amico che le aveva chiesto di unirsi alla sua Associazione per fermare il fascismo e prevenire la guerra, di cui si cominciava a parlare. «Pensare, pensare, dobbiamo. Noi non dobbiamo mai smettere di pensare dove ci conduce quel corteo». Un’esortazione la sua quanto mai necessaria in questo momento in cui nel cuore dell’Europa, teatro della prima e seconda Guerra Mondiale, è in atto una nuova guerra, dopo quella “umanitaria” della Nato, dell’Europa e dell’Onu nell’ex Jugoslavia, pagata con 100.000 morti e la sua disgregazione. Pensare, pensare si deve in questo momento in cui sembra prevalere la violenza della guerra con tutte le sue tragedie umane. Siamo già dentro l’inizio della terza guerra mondiale e non ce ne siamo accorte/i? Siamo tutte/i, nostro malgrado, coinvolte/i nella guerra che altre/i, dentro e fuori l’Europa e l’Italia, stanno combattendo contro il “nemico” russo che ha aggredito l’Ucraina. Combattono con sanzioni sempre più dure per piegare il “nemico”, sanzioni, non a caso, definite a più riprese “bombe nucleari”. Combattono a fianco dei combattenti ucraini inviando loro armi letali. Combattono con la retorica della guerra e del patriottismo, con i mass media a seguito, salvo qualche eccezione. Combattono con la militarizzazione delle idee, censurano libri di autori russi morti da secoli, annullano il festival internazionale di musica e letteratura russa, chiedono ai “nemici” abiure o li cacciano dai teatri e dallo sport. Combattono con la militarizzazione del linguaggio dove tornano termini oppositivi, amico/nemico, civiltà/barbarie, libertà/ tirannia, democrazia/autocrazia, che abbiamo già sentito negli ultimi vent’anni come giustificazione dell’Occidente delle sue disastrose e sanguinose guerre di aggressione in Iraq, Afghanistan, Siria e Libia, con la differenza che oggi non dicono di voler esportare la democrazia e i valori occidentali ma di volerli difendere dal “pazzo” del paese accanto. Persino la dovuta civile accoglienza delle profughe ucraine e delle bambine/i è stata militarizzata, accogliendo loro ed escludendo altre/i, salvando loro e continuando a lasciare morire altre/i, come nel naufragio di qualche giorno fa nel mare di Lampedusa. Ma per fortuna quel corteo non è il solo. C’è quello di tante donne e tanti uomini che, in ogni angolo della terra, ha attraversato le strade della pace e della fine della guerra, di tutte le guerre. Un corteo arrivato anche nelle città russe, dove chi scende in piazza viene arrestata/o come l’ottantenne Elena Osipova, sopravvissuta all’assedio di Leningrado. In quel corteo ci sono le proteste delle madri russe dei soldati mandati in guerra a loro insaputa, c’è la direttrice dimissionaria del Teatro statale di Mosca, Elena Kovalskaya, la pallavolista Ekaterina Gámova, il tennista Andrej Rublëv, la figlia di uno degli uomini più ricchi del mondo e sostenitore di Putin, Sofia Abramovič, la tennista Anastasija Pavljučenkova, la ballerina Anna Tikhomirova dimessasi dal Teatro Bolscioi di Mosca. La Russia non è Putin, l’Europa non è la Nato. La guerra poteva e doveva essere fermata sin dall’inizio. Chi poteva e non l’ha fatto? È il corteo della pace e del disarmo che tutte/i dobbiamo seguire per evitare che “il corteo dei figli degli uomini colti” ci conduca verso una guerra «a causa della quale – scrisse Alessandra Bocchetti nel 1984 – sarà possibile solo morire o forse, nell’ipotesi peggiore, sopravvivere». Una guerra nucleare.


(Il Quotidiano del Sud, 11 marzo 2022)

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