4 Giugno 2022
Il Quotidiano del Sud

Le donne, la pace e le madri costituenti

di Franca Fortunato


Il 2 e il 3 giugno 1946 il popolo italiano con un Referendum scelse la Repubblica (12.718.641 voti – 10.718.502 per la Monarchia) ed elesse l’Assemblea Costituente che doveva redigere la nuova Costituzione, nata dalla lotta antifascista e dalla guerra di liberazione dai nazisti tedeschi. Le donne votarono in massa (89%), dopo aver votato per la prima volta alle amministrative di quell’anno (2000 elette e alcune divennero assessore e sindache). Lunghe file davanti ai seggi, molte con sgabelli pieghevoli infilati al braccio, qualcuna allattava. Arrivarono emozionate ai seggi con il vestito buono della festa – penso a mia madre che ad ogni elezione era la prima a votare – con i bambini in braccio, con il fazzoletto sui capelli – penso a mia nonna che ho visto più volte toglierselo per sistemarsi i capelli e poi rimetterselo –. «Sembra di essere tornati alle code per l’acqua – scrisse Anna Garofalo nel suo libro Le italiane in Italia – e per i generi razionati. Abbiamo tutte nel petto un vuoto da giorni d’esame, ripassiamo mentalmente la lezione: quel simbolo, quel segno, una crocetta accanto al nome. Stringiamo le schede come biglietti d’amore».

Furono eletti 555 costituenti di cui 21 donne: 9 comuniste (Adele Bei, Nadia Spano, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita Montagnana, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi), 9 democristiane (Maria Federici, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Maria De Unterrichter, Filomena Delli Castelli, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio), 2 socialiste (Angela Merlin, Bianca Bianchi), 1 monarchica dell’Uomo Qualunque (Ottavia Penne). Erano giovani, alcune giovanissime, quasi tutte laureate, molte insegnanti, qualcuna giornalista, sindacalista e una casalinga. Ognuna di loro, pur nella diversità di esperienze, si era formata nella lotta antifascista e nella Resistenza.

Erano poche, vero, ma loro ci insegnano che non è il numero a dare autorevolezza a una donna né a fare circolare autorità femminile. Lavorarono insieme con passione e rigore nelle Commissioni e in Aula, contribuirono alla stesura degli articoli, riuscendo molte volte a convincere e orientare gli uomini, anche quelli del loro stesso partito. «Ci interessava di più occuparci dei valori della nuova Repubblica – scrisse Nadia Spano – e lo facemmo con molta autorevolezza tutte insieme al di là delle appartenenze, mentre gli uomini ci ascoltavano con rispetto». Uno di quei valori era la pace, una pace duratura, non solo interna al paese ma tra i popoli per scongiurare in avvenire nuove guerre. Era questo un sentimento, di cui si fecero interpreti, molto diffuso nel paese e nelle donne che avevano sofferto i bombardamenti, l’orrore della guerra, tante avevano conosciuto le asperità dei combattimenti nella Resistenza, molte il confino, l’esilio, i campi di concentramento e la galera. Da qui l’assoluta rinuncia alla guerra sancita dall’art. 11, «una delle pietre miliari della Costituzione», più volte tradita nel corso di questi anni. Seppero confrontarsi con quei parlamentari che non volevano il «ripudio della guerra», ritenuta «una formula di umiliazione perché eravamo vinti». Sono le madri dell’art.11: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà dei popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Oggi come allora, il sentimento di pace e il “ripudio della guerra” è molto diffuso e forte nel paese e nelle donne contrarie all’invio di armi all’Ucraina, ma in Parlamento non ci sono figlie di quelle madri che se ne facciano interpreti.


Fonte: Costituenti al lavoro. Donne e Costituzione 1946-1947. Fondazione Nilde Iotti, Ed. Guida.


(Il Quotidiano del Sud, 4 giugno 2022)

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