27 Marzo 2020
La Stampa

Le donne meno colpite dal Covid-19 guideranno la società del futuro

di Elena Stancanelli


Quando saranno sollevate le misure di restrizione, quando sarà il momento di tornare a lavoro, dovremo occuparci di proteggere e mettere in sicurezza le persone più fragili. Cioè i maschi. La virologa Ilaria Capua ha spiegato che potremmo addirittura usare le donne come semafori rossi. Il Covid-19 infatti, per ragioni che non sappiamo, si è rivelato molto più aggressivo con gli uomini. Si registrano meno casi di positività, meno intubazioni o ricorsi a terapia intensiva, e un numero minore di donne tra i morti. Per questa ragione nella post-quarantena, ha detto Ilaria Capua, potrebbe essere opportuno far rientrare al lavoro prima le donne, che offrono una barriera maggiore alla propagazione del contagio. Un semaforo rosso, appunto.

È uno scenario interessante, tra i tanti mirabolanti e spaventosi che ci passano per la testa in questi giorni. Passiamo dall’apocalisse alla palingenesi, da Mad Max al Mondo Nuovo di Huxley, in un incessante ping-pong psichico che ci sfinisce. Nessuno sa cosa ci aspetta, ma di certo ci sarà da ricostruire. E ricostruire è sempre una buona occasione per ripensare. E se le donne uscissero per prime in strada, come la scienza ci consiglia di fare, sarebbero loro a occuparsene, almeno all’inizio.

Dovranno valutare i danni, decidere la scaletta delle priorità. Non avrebbero molto margine di manovra, gli uomini non si tirerebbero indietro completamente. In salvo dentro le loro case, al riparo dal virus, continuerebbero a fare i loro lavori in remoto. Ma per le strade ci saranno le donne. Cammineranno da sole, occuperanno autobus e uffici. Sarà un paesaggio inedito. In alcune parti di mondo per strada si incontrano solo uomini, nei Paesi musulmani integralisti le donne sono nascoste, in casa o sotto gli abiti. Città di maschi ne esistono già, così come abbiamo visto centinai di “panel”, riunioni dei vertici di governo, università, consigli di amministrazione di soli uomini. Li abbiamo guardati commentare, stabilire i canoni, prendere le decisioni. Ma di questo mondo che potrebbe accadere, questo in cui tutti i posti sono occupati dalle donne, non abbiamo invece alcun esempio. Chiamiamolo ginocene. L’era geologica delle donne.

Chissà quanto potrebbe durare. Mesi, anni? Poniamo che in questo tempo sia necessario avere persone che siedono in Parlamento, parlino con gli operai in sciopero, officino matrimoni e funerali. Durante il ginocene quelle persone non potranno che essere donne. Lo faranno nello stesso modo? La questione non è se esiste un modo di comandare, lavorare, vivere maschile e uno femminile. La questione è la densità. Nel mondo, di colpo, girando la testa, si vedranno solo donne. Sarà un mondo più gentile o uno nel quale esploderanno le tensioni più in fretta e le stesse tensioni si risolveranno in meno tempo? Quello che non siamo riusciti fare con la politica e con i movimenti femministi lo farà il virus? Sarà un’occasione per riequilibrare le parti, o un nuovo inizio nel quale i posti ora occupati dalle donne non verranno ridati indietro, proprio come gli uomini adesso faticano a cedere le posizioni di comando?

È uno scenario lievemente fantascientifico, nessuno pensa davvero che la pandemia produrrà cambiamenti irreversibili di tale portata. O forse sì? È così poco quello che sappiamo, è così impreparata la nostra immaginazione a quello che sta già accadendo che non si può escluderlo. O meglio: consideriamola, questa davvero, un’opportunità. Se davvero si tratta di ripensare i nostri comportamenti, di rimettere in ordine l’ecosistema come ci chiedono gli scienziati, non sarebbe una cattiva idea se a farlo fossero le donne, quasi del tutto escluse finora dalle decisioni cruciali. Anche se il ginocene fosse solo una distopia che non si avvera, un potere più equamente diviso potrebbe essere l’unico regalo lasciato alla Terra da questo maledetto virus, quando finalmente se ne andrà.


(La Stampa, 27 marzo 2019)

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