24 Ottobre 2020
Corriere della Sera

Le donne stanche di Trump – Intervista alla filosofa Kate Manne

di Viviana Mazza


«Le donne sono stanche di Trump: non è sessista, ma sicuramente misogino»


Donald Trump ha un problema con l’elettorato femminile. I suoi consensi sono crollati tra le donne, tranne le bianche non laureate, che scelsero lui nel 2016 e che sembrano intenzionate a farlo di nuovo, con un possibile peso negli Stati in bilico. Ma colpisce il collasso della sua popolarità̀ tra le bianche laureate che quattro anni fa, pur eleggendo per il 51 per cento Hillary Clinton, diedero a Trump il 44 per cento dei voti e costituirono una parte importante della sua base. Il messaggio «law and order» e lo spettro della violenza razziale nei sobborghi non sembra averle persuase a restare con lui. Se nel 2016 il presidente perse il voto femminile di 13 punti percentuali, stavolta il gender gap con il rivale potrebbe superare i 20 punti, un record nella storia elettorale moderna. «La mia sensazione è che le donne siano stanche di Trump», dice a 7 la filosofa Kate Manne. «I pregiudizi di genere tendono ad essere condivisi dalle donne, che tristemente, come dimostrano le ricerche, possono essere più attirate da un candidato maschio democratico». «La ricostruzione giornalistica delle molestie e delle probabili aggressioni sessuali da lui commesse sta finalmente avendo effetto, non gli concedono più̀ il beneficio del dubbio. Penso che anche la sua gestione della pandemia sia stata cruciale». Docente della Cornell University e neomamma, Manne ha appena scritto un editoriale sul Washington Post sul legame tra l’atteggiamento di Trump da «dominatore del virus» e la sua mascolinità tossica. Nei suoi due libri — Down Girl (Giù ragazza; sottotitolo: La logica della misoginia) e Entitled (Esigere, come il privilegio maschile ferisce le donne) — la filosofa ha analizzato i rapporti di genere nell’ambito delle relazioni di potere, basandosi sempre su fatti di attualità.

Quattro anni fa le rivelazioni sulle frasi misogine e le molestie di Trump non impedirono a molte donne bianche di votare per lui. Buzzfeed le chiamò «Ivanka Voters», perché́, «pur turbate da quelle rivelazioni, ritenevano che, se la figlia del miliardario, madre e imprenditrice, lo aveva perdonato potevano farlo anche loro». Perché le cose sarebbero cambiate ora?

«In parte perché́, dopo quattro anni, sappiamo molto di più su Donald Trump, ma anche perché nel 2016 a sfidarlo era una donna mentre oggi il suo rivale è un uomo. I pregiudizi di genere tendono ad essere condivisi dalle donne, che tristemente, come dimostrano le ricerche, possono essere più attirate da un candidato maschio democratico».

Lei spiega che Trump non è sessista ma misogino, un po come lo è la società moderna. Cosa vuol dire? 
«Trump incarna un fenomeno recente: non è particolarmente sessista, pensa che le donne siano competenti e che possano contribuire alla sua Amministrazione come alle sue aziende. Ma è sicuramente misogino nel senso che impone il rispetto dell’ordine patriarcale, reagendo con ostilità e odio nei confronti delle donne che lo sfidano o lo ostacolano. Ci si aspetta che siano fedeli e deferenti. Quando Kamala Harris ha opposto resistenza a Mike Pence nel dibattito tra i vice, Trump l’ha definita un mostro, il classico modo in cui vengono etichettate le donne che sfidano l’autorità maschile».

Kamala Harris è la prima candidata vice nera: quanto conterà per il voto delle donne?

«È difficile dirlo, non c’è niente di particolarmente radicale in una vicepresidente donna, alla fine è percepita come al servizio di un leader uomo. Il suo compito è di appoggiarlo, un ruolo in linea con le aspettative di genere, incluse quelle verso le donne nere, anzi specialmente loro. Anche se lei sta facendo tanto per infrangere alcune aspettative di genere, non credo che avrà un ruolo smisurato in quest’elezione».

Una frase di Harris, Im speaking, per evitare di essere interrotta da Pence, ha fatto notizia, è diventata uno slogan sulle T-shirt. Come hanno reagito le altre donne?

«Ci sono donne che difendono le norme patriarcali. Megyn Kelly, commentatrice di centro-destra, le ha detto: “Prendila come una donna, non fare quelle facce”, dopo le occhiatacce di incredulità di Harris per le bugie e la manipolazione psicologica di Pence. Ma molte altre sono state rinvigorite dalla sua insistenza a non essere interrotta».

Ci sono dinamiche misogine anche nel partito democratico? Chi considerava Kamala poco adatta al ruolo di vice di Biden faceva spesso riferimento ad uno scontro con lui nelle primarie.

«Sì, ci si aspettava che in quanto donna Kamala Harris fosse fedele al grande vecchio del partito, che non ferisse i suoi sentimenti dichiarando una semplice verità, ovvero che lui aveva osteggiato misure di desegregazione di cui lei da bambina nera aveva beneficiato. Ora comunque per Harris sarà più facile: può essere percepita come una brava donna, appoggiando Biden, citando le sue idee».

E le due first lady?

«Melania è imperscrutabile ma anche complice dell’Amministrazione, viene spesso criticata in modo ingiusto, per esempio per il suo abbigliamento, ma non significa che tutte le critiche non siano valide. Un oppressore può essere anche un oppresso. Quanto a Jill Biden, ha coperto spesso il marito, a partire dall’audizione di Anita Hill. Come Brett Kavanaugh nel 2019, il giudice Clarence Thomas entrò nella Corte suprema nel 1991 nonostante le accuse di molestie sessuali: Biden presiedeva la Commissione Giustizia del Senato e rifiutò di ascoltare testimonianze di altre donne che potevano corroborare quella di Anita Hill».


(7XXL – Corriere della Sera, 24 ottobre 2020)

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