21 Maggio 2021
Il Quotidiano del Sud

Le verità del massacro dei palestinesi a Gaza

di Franca Fortunato


Il 15 maggio 1948 nella terra di Palestina, abitata per l’80% da palestinesi musulmani e cattolici, nasceva lo Stato d’Israele, con la cacciata di un milione di palestinesi, condannati alla diaspora forzata senza possibilità di “ritorno” nelle loro case, confiscate e date a israeliani. È la Nakba, la catastrofe, che da 73 anni i palestinesi commemorano e mai come quest’anno, nei territori occupati militarmente, Israele ha gettato la maschera dell’ipocrisia del “diritto alla difesa”, invocato da sempre per nascondere la realizzazione sistematica del progetto sionista di colonizzazione della terra e di giudizzazione dello Stato, eliminando i palestinesi sia con le leggi che con le bombe, come sta facendo in questi giorni a Gaza. Israele in 73 anni, complice la comunità internazionale, ha creato un sistema di apartheid per i palestinesi, come ha denunciato nel 2011 il Tribunale Russel sulla Palestina, istituito nel 2009 per «chiedere ai paesi d’Europa di smettere di essere complici con lo stato occupante» e ha accusato Israele di crimini contro l’umanità. Controllo delle vite con mezzi militari, incarcerazioni arbitrarie, espropriazione della terra, distruzione delle case dei civili, torture e maltrattamenti dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, trattamento crudele, inumano e degradante, leggi per favorire gli ebrei, discriminazione istituzionalizzata dei palestinesi israeliani e di quelli delle terre occupate, sono le accuse contro Israele ribadite in un recente rapporto di Amnesty International. Gerusalemme rappresenta il centro della realizzazione di quel progetto. Dopo la guerra arabo-israeliana del 1948/49 fu divisa in Gerusalemme ovest, sotto il controllo israeliano, e in Gerusalemme est, sotto quello giordano. Da Gerusalemme ovest Israele cacciò 67 mila palestinesi e, dopo la guerra dei sei giorni del 1967, occupò militarmente Gerusalemme est e se ne appropriò, cacciò 30 mila palestinesi, espropriò terreni per i coloni, costruì case per gli ebrei e vietò ai palestinesi di estendere i propri quartieri (86% del territorio oggi è in mano israeliana, il 14% palestinese), privando 350mila palestinesi di ogni servizio. Successivamente venne dichiarata città santa “unificata” e indivisibile dello Stato d’Israele e nel 2018 capitale dello Stato ebraico, contro il diritto internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite che chiedono il ritorno ai confini del 1967, il ritiro da tutti i territori occupati, la restituzione delle terre dei coloni, condizioni imprescindibili per uno Stato palestinese. È dentro questa storia di genocidio di un popolo, di pulizia etnica, di apartheid, che si collocano gli sfratti delle 28 famiglie del quartiere Sheikh Jarrah di Gerusalemme est e l’assalto alla moschea al grido di “morte agli arabi”, che ha scatenato la rivolta del popolo palestinese, da tempo “tradito” dai governi occidentali, che ancora oggi, di fronte al massacro a Gaza tacciono, o sostengono il falso “diritto alla difesa” di Israele o, dopo giorni di bombardamenti e strage di civili, tra cui bambine/i, chiedono timidamente il “cessate il fuoco”, come fosse risolutorio. Intanto la protesta e l’indignazione, oscurate dai media, dilagano nelle piazze del mondo, israeliani e palestinesi, come nelle marce per la pace delle donne, manifestano insieme per le strade di Israele coi cartelloni «israeliani e arabi si rifiutano di essere nemici», frutto di anni di lavoro politico e di lotta comune di tante donne e madri israeliane e palestinesi. Cessate il fuoco, ponete fine all’occupazione, date uno Stato ai palestinesi e Hamas, utile più a Netanyahu che ai palestinesi, sparirà. 


(Il Quotidiano del Sud, 21 maggio 2021)

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