15 Gennaio 2022
L’Essenziale

Le violenze sessuali di capodanno e la resa dei conti di una virilità vacillante

di Ida Dominijanni


Era successo a Colonia, in Germania, la notte di capodanno del 2014. Sei anni dopo, succede ancora e uguale a Milano, la notte di capodanno del 2022. Stessa notte, stessa festa, quest’anno ammaccata e immalinconita dalla pandemia, stesse molestie, stesso branco. Giovani uomini “di aspetto arabo e nordafricano”, come si scrisse allora, immigrati di seconda generazione, “manovali di periferia in cerca di una notte da padroni” come si scrive oggi (su Repubblica) aggiungendo un accento classista a quello razzista. E giovani donne – come definirle, “native”? – aggredite, circondate, palpeggiate, denudate, molestate, derubate.

Gadget da supermercato

Cambio di contesto però nella ripetizione del fatto: nel 2016 l’opinione pubblica tedesca era alle prese con l’apertura di Angela Merkel al flusso di migranti siriani, e la destra approfittò dei fatti di Colonia per attaccare la cancelliera insistendo sulla matrice razziale dell’aggressione. Oggi l’opinione pubblica italiana è alle prese con la variante omicron, e i tentativi della destra nostrana di battere sullo stesso tasto hanno meno risonanza; meglio il disprezzo pietistico dei manovali di periferia della stampa progressista.

Allora come oggi però stenta a imporsi l’evidenza ovvia, palmare, lapalissiana che la violenza maschile sulle donne non ha né colore né ceto: non sono femministerie i discorsi sulla matrice patriarcale che accomuna culture e società diverse e rende i comportamenti violenti degli “invasori” nordafricani sinistramente simili a quelli di tanti oriundi europei, come in un gioco di specchi che la globalizzazione dei consumi, dei costumi e dell’immaginario moltiplica all’infinito.

Del resto a capodanno del 2021, quando c’era il coprifuoco alle 22 ed era vietano riunirsi in piazza più di sei a causa del covid, in una villa perbene di Roma nord appositamente affittata, la cena di San Silvestro a base di cocaina, hashish alcol e Rivotril fu coronata dallo stupro di gruppo di una ragazza di 16 anni, abusata da cinque insospettabili vicini di casa tra i 16 e i 20.

E bastava uno sguardo ai quotidiani dell’altro ieri, tutti con due pagine affiancate, una sui fatti di Milano l’altra sul processo al duca di York coinvolto nei traffici sessuali di Jeffrey Epstein, per farsi un’idea di come i manovali di periferia possano riflettersi nei rampolli della high society e viceversa, uniti dalla convinzione che del corpo femminile si dispone come di un gadget da supermercato, e se non se ne dispone lo si compra, e se non lo si può comprare in una residenza lussuosa di Manhattan lo si prende con la forza in una pubblica piazza; casualmente nella stessa città dove dieci anni fa si svolgevano le “cene eleganti” di un presidente del consiglio miliardario che all’epoca pagava prestazioni sessuali con soldi e posti di lavoro e oggi si candida senza pudore alla presidenza della repubblica.

E dunque interroghiamoci pure sulle difficoltà della convivenza multiculturale, sugli attriti dell’integrazione, sulle seconde generazioni di immigrati che scaricano su comportamenti violenti le frustrazioni per una cittadinanza dimezzata.

Ma senza mai dimenticare che sono nostri, non loro, i valori e i criteri che autorizzano questi comportamenti. È nostro, per esempio, un prodotto squisitamente occidentale e neo-liberale, l’equivoco che confonde la libertà esistenziale delle donne con una loro presunta disponibilità a offrirsi sul mercato sessuale.

Uno dei tanti equivoci che impedisce a noi donne di farci arruolare nello scontro di civiltà tra un occidente per definizione amico e un resto del mondo per definizione nemico della nostra libertà. Questioni note, sempre aperte e purtroppo sempre attuali.

Che però mancano il punto, che forse è più tanto questo ma quest’altro: come e perché il sesso sia diventato, all’alba del terzo millennio, performance muscolare, oggetto di godimento usa e getta, arma di riscatto dei poveri e status symbol dei ricchi, future da investire nel borsino della virilità. Come e perché questo avvenga in un’epoca che non è di crescente oppressione bensì di crescente libertà femminile, e non di trionfo bensì di declino del patriarcato, a ovest, a est, a nord e a sud del pianeta.

Sintomo

Come e perché proprio il sesso, un sesso impoverito e molesto, un sesso che senza additivi non funziona e che ha bisogno del branco come un goleador del tifo, sia diventato il terreno di una sorta di resa dei conti ultimativa e punitiva di una virilità compromessa incapace di rinunciare alla rendita di posizione di un dominio ormai vacillante. È sempre segno e sintomo anche d’altro, il sesso. E proprio quando lo si vuole ridurre a una letteralità cieca e muta dice di noi più cose di quante ne vogliamo sapere.


(L’Essenziale, 15 gennaio 2022)

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